Nessuna sanzione per il rimborso IVA erogato ma non dovuto La C.T. Reg. di Genova ha stabilito che non è possibile assimilare la fattispecie ad un tardivo versamento
Nessuna sanzione per il rimborso IVA erogato ma non dovuto
La C.T. Reg. di Genova ha stabilito che non è possibile assimilare la fattispecie ad un tardivo versamento
Se il contribuente chiede e ottiene un rimborso IVA, l’Ufficio, sulla base di un successivo accertamento con cui viene determinata una maggiore IVA dovuta, non può contestare al contribuente l’omesso versamento d’imposta, applicando la relativa sanzione, atteso che ciò non è previsto dalla normativa e non è possibile considerare tale fattispecie, per analogia interpretativa, come un tardivo versamento. È quanto stabilito dalla C.T. Reg. di Genova, con la sentenza n. 73 del 10 agosto 2012.
Una società aveva presentato un’istanza di rimborso IVA al competente Ufficio, che, dopo la rituale istruttoria, lo aveva concesso. Successivamente all’erogazione del rimborso, però, l’Ufficio effettuava un controllo sostanziale sulla posizione della contribuente e accertava una maggiore IVA dovuta per l’errata applicazione dell’aliquota ridotta del 4%, anziché quella all’epoca ordinaria del 20%, per la cessione di box auto. Sulla base della maggiore IVA accertata, l’Ufficio rilevava che il rimborso erogato non era spettante e, quindi, irrogava la sanzione del 30% sulle somme oggetto di rimborso ex articolo 13 del DLgs. 471/1997, che prevede tale sanzione a carico di chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione.
L’Agenzia delle Entrate sosteneva che tale sanzione fosse dovuta perché la società aveva ottenuto un rimborso non spettante e, quindi, la situazione era paragonabile ad un tardivo versamento, dal momento che aveva determinato il possesso prolungato da parte del contribuente di somme che, invece, avrebbero già dovuto essere nella disponibilità dell’Erario.
La società ribadiva, invece, che non vi era stato nessun prolungamento della sua disponibilità di somme di spettanza statale e che, comunque, l’articolo 13 sopra citato non poteva essere applicato, per analogia, al caso di specie, al fine di comminare la prevista sanzione del 30%.
A differenza dei giudici provinciali, che avevano accolto la tesi del Fisco, confermando l’atto di contestazione, il collegio del riesame ne ha dichiarato la nullità, stabilendo che la sanzione di cui al predetto articolo 13 non è applicabile, stante l’assenza del suo presupposto. A prescindere dalla correttezza dell’accertamento IVA effettuato successivamente all’erogazione del rimborso, infatti, ciò che rileva è che la fattispecie sanzionatoria de qua sia limitata, per espressa previsione normativa, ai soli casi di mancata esecuzione in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, dei versamenti in acconto, versamenti periodici, versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione e non anche alle ipotesi di ottenimento di un rimborso non dovuto, che deve essere restituito. La C.T. Reg., quindi, ha accolto l’appello della società e ha condannato l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio.
Conclusione in linea con quanto già stabilito dalla Suprema Corte
Occorre ricordare che la decisione dei giudici di merito aderisce perfettamente a quanto già stabilito, in proposito, dalla Cassazione, ovvero che il principio di stretta legalità, che informa il sistema delle sanzioni in materia tributaria (art. 3 del DLgs. n. 472/1997), preclude all’Ufficio di applicare la sanzione prevista per il caso di omesso versamento, totale o parziale, dell’imposta all’ipotesi in cui il contribuente ottenga un rimborso non dovuto, per l’evidente diversità delle due fattispecie e quindi per la palese impossibilità di individuare una medesima ratio sanzionatoria nei due casi, apparendo sufficiente al riguardo riflettere sulla circostanza che, in quello considerato, il fatto che sarebbe sanzionato (indebito rimborso) appare riconducibile non già ad un comportamento proprio del contribuente, bensì ad un errore dell’Ufficio, che avrebbe dovuto verificare con più attenzione la spettanza del rimborso e quindi negarlo se non dovuto (Cass. n. 15938/2010).
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