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BILANCIO 2014 IMPATTO delle NOVITÀ FISCALI

BILANCIO 2014
IMPATTO delle NOVITÀ FISCALI





In questa Circolare


  1. Perdite su crediti

  1. Indennità suppletiva di clientela

  1. Svalutazione degli immobili-merce

  1. Svalutazione delle immobilizzazioni

  1. Correzione di errori in bilancio

  1. Rivalutazione dei beni aziendali

  1. Potenziamento dell’Ace

  1. Compenso degli amministratori

Sono diverse le novità fiscali che impattano sul bilancio (Stato patrimoniale e Conto economico) relativo all’esercizio 2013: alcune di esse derivano da disposizioni normative, altre da chiarimenti che sono stati forniti a seguito dell’indirizzo giurisprudenziale che si è andato consolidando nel tempo.
Le novità fiscali principali sono di seguito illustrate.
1. PERDITE su CREDITI
A seguito della Legge di stabilità 2014 (art. 1, co. 160, lett. b), L. 27.12.2013, n. 147), la cancellazione del credito operata in bilancio (voce B.14 «Oneri diversi di gestione» del Conto economico, previo l’utilizzo dell’eventuale fondo svalutazione crediti) produce effetti ai fini fiscali (sia per i soggetti che adottano i Principi contabili nazionali sia per i soggetti Ias adopter).
La cancellazione, secondo le regole dettate dai Principi contabili (per quelli nazionali si vedano i Principi Oic 12 e Oic 15), consente di considerare soddisfatte le condizioni della certezza e precisione (art. 101, co. 5, D.P.R. 917/1986), le quali consentono di dedurre la perdita iscritta in bilancio.
Le principali fattispecie che consentono la rimozione del credito dal bilancio sono le seguenti: la chiusura di una procedura fallimentare, la cessione pro-soluto del credito, la rinuncia al suo incasso, la transazione e l’intervenuta prescrizione.
Ancora: la cancellazione del credito dal bilancio operata a seguito di un riconoscimento giudiziale inferiore al valore iniziale di una transazione, della cessione del credito pro- soluto o per effetto di prescrizione determinerà la piena rilevanza fiscale della perdita sussistendo le condizioni di certezza e precisione.
In questo modo sembrano superati i precedenti chiarimenti (Cass., sent. n. 13181/2000; Cass., sent. n. 14568/2001; R.M. 29.2.2008, n. 70/E; risposta all’interrogazione parlamentare 5.11.2008, n. 5-00570) secondo cui anche nel caso di cessione del credito pro-soluto (senza azione di regresso) sia necessario verificare la sussistenza degli elementi certi e precisi che hanno dato luogo ad una perdita, salvo che non sia ceduto ad intermediari finanziari vigilati, come le banche (C.M. 1.8.2013, n. 26/E).
È tuttavia da ricordare che l’Amministrazione finanziaria può disconoscere le perdite su crediti derivanti da cessioni elusive del credito ai sensi dell’art. 37-bis, D.P.R. 600/1973.
Inoltre, diversamente da quanto avviene per i crediti ceduti pro-soluto, la cessione del credito pro-solvendo non ne determina la cancellazione dal bilancio, in quanto il presupposto per la cancellazione del credito dal bilancio è il trasferimento del rischio (che non avviene nella cessione pro-solvendo, restando in capo al cessionario la possibilità di esperire l’azione di regresso nei confronti del cedente). Questa interpretazione, accettata in giurisprudenza (Cass., sent. n. 7317/2003; Cass., sent. n. 12783/2001) deriva dagli aggiornamenti apportati al Principio contabile Oic 15, secondo la versione in bozza diffusa nell’aprile 2012 per la consultazione, che privilegia la sostanza dell’operazione.
A fronte dell’anticipo ricevuto, deve essere iscritta la passività finanziaria nello Stato patrimoniale.

OPERAZIONI su CREDITI e BILANCIO
Consentono la cancellazione
del credito dal bilancio
Non consentono la cancellazione
del credito dal bilancio
Cessione pro-soluto
Cessione pro-solvendo
Forfaiting
Operazioni che non trasferiscono i rischi quali il mandato all’incasso (es. factoring all’incasso e riba)
Datio in solutum
Cambiali girate all’incasso
Conferimento del credito
Pegno di crediti e altre cessioni a scopo di garanzia
Factoring pro-soluto
Sconto
Cartolarizzazione con trasferimento sostanziale di tutti i rischi del credito
Cartolarizzazioni che non trasferiscono sostanzialmente tutti i rischi inerenti al credito

Nel valutare l’effettivo trasferimento dei rischi, l’Oic sottolinea che si deve tener conto di fattori quali le garanzie fornite, gli obblighi contrattuali (ad esempio, l’obbligo di riacquisto al verificarsi di certi eventi), le commissioni e le penali dovute per il mancato pagamento, nonché le eventuali franchigie da corrispondere ai soggetti che hanno garantito l’incasso del credito.
Naturalmente, come indicato dal documento dell’Oic, la cancellazione del credito si determina, oltre che a seguito del trasferimento della titolarità dei diritti contrattuali e dei correlati rischi, in tutti i casi in cui «i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono».
Fiscalmente, è necessario considerare che il co. 2, art. 106, D.P.R. 917/1986 prevede che le perdite sui crediti siano deducibili «limitatamente alla parte che eccede l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi». Pertanto, le perdite su crediti che si origineranno a seguito della cancellazione del credito saranno deducibili soltanto limitatamente all’eccedenza rispetto alla quota parte del fondo svalutazione crediti già dedotta nei precedenti esercizi per effetto delle deduzioni forfetarie annuali.
Per completezza di trattazione, ricordiamo che oltre all’ipotesi della cancellazione del credito dal bilancio secondo i Principi contabili, il D.L. 83/2012 era già intervenuto per modificare l’art. 101, co. 5, citato, ammettendo la deducibilità già a partire dal periodo d’imposta 2013 dei crediti le cui perdite risultano da elementi certi e precisi. Tali elementi sussistono per i crediti:
  • prescritti;
  • perduti a causa di procedure concorsuali o di accordi di ristrutturazione del debito;
  • di modesto ammontare (fino a 2.500 euro o 5.000 euro per le grandi imprese) e scaduti da almeno 6 mesi.
2. INDENNITÀ SUPPLETIVA
di CLIENTELA
È probabilmente giunta al capolinea la questione, dibattuta per molti anni, sulla deducibilità – per cassa o per competenza – delle indennità di fine rapporto spettanti, al sussistere di determinate condizioni, agli agenti di commercio al momento dell’interruzione del rapporto con la casa mandante ai sensi dell’art. 1751 c.c.
Recependo quanto sancito dalla giurisprudenza prevalente (Cass., sent. 27.6.2003, n. 10221; Cass., sent. 11.6.2009, nn. 13506, 13507 e 13508; Cass., sent. 11.4.2011, n. 8134; Cass., sent. 4.4.2013, n. 8288; Avvocatura generale dello Stato, parere 2.10.2913, n. 391527), anche l’Agenzia delle Entrate ha concluso che gli accantonamenti effettuati dalla casa mandante per l’indennità suppletiva di clientela (che forma, insieme all’indennità di risoluzione del rapporto e all’indennità di meritocrazia, l’indennità di cessazione del rapporto di agenzia) sono deducibili secondo il criterio di competenza (C.M. 8.11.2013, n. 33/E), ferma restando la tassazione separata in capo all’agente persona fisica o socio di società di persone, che comunque può optare per la tassazione ordinaria (art. 17, co. 1, lett. d), D.P.R. 917/1986).

TASSAZIONE dell’INDENNITÀ SUPPLETIVA di CLIENTELA
Società mandante
Accantonamento annuo
Per competenza (art. 105, Tuir) (*)
Agente
Indennità percepita
Per cassa (art. 17, Tuir)
(*) La norma consente la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto, comprese quelle per la cessazione del rapporto di agenzia, nel limite delle quote maturate in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolamentano il rapporto di lavoro.

3. SVALUTAZIONE
degli IMMOBILI-MERCE
L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate sulla svalutazione degli immobili-merce (al pari di altri beni infungibili), invece, non è favorevole al contribuente.
Secondo la prassi dell’Amministrazione finanziaria, le società immobiliari che – ad esempio per la crisi economica di questi anni – hanno svalutato in bilancio i beni in giacenza di magazzino (immobili-merce, ossia destinati alla vendita) non possono portare in deduzione il componente negativo, ma devono effettuare una variazione in aumento nel modello di dichiarazione dei redditi (Modello Unico).
In tema di bilancio, l’art. 2426, co. 1, n. 9, c.c. stabilisce che le rimanenze di beni che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione (inclusi gli oneri accessori e le spese direttamente o indirettamente imputabili al bene, come pure gli oneri finanziari) ovvero, se inferiore, al valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato.
Ai fini fiscali, le rimanenze di magazzino sono disciplinate dall’art. 92, D.P.R. 917/1986, secondo il quale le rimanenze, la cui valutazione non è effettuata a costi specifici o secondo le regole delle opere e dei servizi di durata ultrannuale (a norma del successivo art. 93), devono essere assunte per un valore non inferiore a quello risultante dal raggruppamento dei beni in categorie omogenee per natura e valore (co. 1), attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello che risulta dai commi successivi (valutazioni di bilancio usando i metodi convenzionali del costo medio, Lifo o Fifo o varianti di questi).
In pratica, la norma fiscale prevede la valorizzazione:
  • con metodi convenzionali per i beni fungibili;
  • con il costo specifico per i beni infungibili.
Il co. 5 del citato art. 92 consente una svalutazione (ossia, un allineamento del valore unitario medio dei beni al valore normale medio dell’ultimo mese dell’esercizio) solo per i beni il cui valore è stato determinato ai sensi dei co. da 2 a 4 (metodi convenzionali).
Non viene, pertanto, richiamato esplicitamente il co. 1 (valorizzazione a costi specifici), da utilizzarsi per i beni infungibili (come gli immobili).
La dottrina si era espressa a favore della possibilità di dedurre la svalutazione operata in bilancio anche ai beni valutati a costo specifico, in quanto anche in assenza di una specifica disposizione in tal senso (come quella richiamata per i metodi convenzionali di cui ai co. da 2 a 4) vale il principio generale di «derivazione dal bilancio» del reddito imponibile, ai sensi dell’art. 83, D.P.R. 917/1986 (Norma di comportamento n. 168/2007).
E poiché l’art. 2426, n. 9, c.c. richiede il confronto della valorizzazione del magazzino fatta al costo di acquisto o di produzione con il valore desunto dall’andamento del mercato, se ne dovrebbe ricavare che la svalutazione operata in Conto economico esplica effetti nell’ambito fiscale.
Sul punto, però, la dottrina non era unanime: l’Assonime (circolare n. 1/2011) ha ritenuto che potesse essere difficile pensare che il Legislatore, avendo posto dei limiti fiscali ad una svalutazione per i beni fungibili valutati con i criteri forfetari, abbia poi consentito una deduzione priva di limiti per i beni infungibili.
L’Agenzia delle Entrate, con la R.M. 12.11.2013, n. 78/E, ha ritenuto che le svalutazioni operate relativamente ai beni fungibili non abbiano rilevanza ai fini delle imposte dirette, richiedendo una variazione in aumento nel Modello Unico: «Il mancato richiamo nell’ambito del comma 5 (...) ai beni valutati a costi specifici porta (...) a ritenere che il legislatore abbia inteso individuare una specifica disciplina fiscale, ai fini della valutazione delle rimanenze, con esclusivo riferimento ai beni valutati con criteri di determinazione alternativi al costo, per i quali ha riconosciuto la possibilità di procedere alla relativa svalutazione. Tale facoltà risulta, al contrario, preclusa in relazione ai beni valutati al costo, la cui svalutazione non trova riconoscimento fiscale».

SVALUTAZIONE delle MERCI SECONDO l’AGENZIA delle ENTRATE
Svalutazione civilistica
Deduzione fiscale
Dei beni fungibili
Ammessa
Nel limite dell’art. 92, co. 5, Tuir
Dei beni infungibili
Non ammessa
R.M. n. 78/E/2013

4. SVALUTAZIONE
delle IMMOBILIZZAZIONI
I beni strumentali possono essere oggetto di svalutazione, ad esempio perché il valore degli stessi non può più essere recuperato tramite i flussi di ricavi attesi, ossia mediante l’uso o la dismissione (art. 2426, co. 1, n. 3, c.c. e Oic 16).
La svalutazione si iscrive nel Conto economico alla voce B.10.c «Altre svalutazioni delle immobilizzazioni».
La svalutazione civilistica di beni ammortizzabili, non ammessa in deduzione in quanto non derivante da atto realizzativo del bene, non influisce sul costo fiscalmente riconosciuto (art. 110, D.P.R. 917/1986).
Pertanto, gli ammortamenti civilistici, calcolati sul costo svalutato, risulteranno superiori a quanto potenzialmente deducibile fiscalmente (ipotizzando un periodo di ammortamento civile – vita utile del bene – coincidente con quello fiscale ed una vita residua rimasta immutata anche a seguito della svalutazione operata; infatti, la perdita di valore recuperabile non comporta necessariamente un mutamento della residua vita utile del bene), secondo i coefficienti previsti dal D.M. 31.12.1988.
Dato il principio di derivazione dal bilancio di cui all’art. 83, D.P.R. 917/1986 (il reddito imponibile si determina partendo da quanto iscritto a Conto economico, salve le variazioni previste dalle disposizioni successive del Tuir) e della norma generale di cui all’art. 109, co. 4, dello stesso D.P.R. («Le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza»), si poteva ipotizzare che i maggiori ammortamenti fiscali, rispetto a quelli civilistici, non fossero deducibili, mancando la loro iscrizione in Conto economico.
Secondo un recente chiarimento dell’Agenzia delle Entrate, negli anni successivi alla svalutazione, l’importo deducibile è quello ammesso fiscalmente: l’importo corrispondente a quanto iscritto a Conto economico è deducibile secondo la regola dell’art. 83 citato, mentre per il maggior ammortamento rispetto a quanto imputato a bilancio si opera una variazione in diminuzione nel Quadro RF, Modello Unico (R.M. 19.12.2013, n. 98/E).
La motivazione di questo assunto va ricercato nel fatto che, con la svalutazione operata in bilancio, si è già verificato il passaggio a Conto economico. Pertanto, vale il disposto dell’art. 109, co. 4, lett. a), D.P.R. 917/1986 secondo il quale sono deducibili i componenti di reddito «imputati al conto economico di un esercizio precedente, se la deduzione è stata rinviata in conformità alle precedenti norme della presente sezione che dispongono o consentono il rinvio». E il rinvio alla deduzione si è reso necessario a motivo del limite alla deducibilità previsto dall’art. 102, D.P.R. 917/1986 (la deduzione «è ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze»).
La deduzione dei maggiori ammortamenti è ammessa anche ai fini Irap (C.M. n. 26/E/2012).

ESEMPIO
Un bene strumentale di costo (valevole sia ai fini civilistici sia fiscali) pari a 1.000 euro è stato acquistato nell’anno 2008. La vita utile del bene è stata prevista in 10 anni. L’ammortamento fiscale, secondo i coefficienti del D.M. 31.12.1988, è del 10%.
Il piano di ammortamento è il seguente:

Anno
Quota annuale di ammortamento

2008
100

2009
100

2010
100

2011
100

2012
100

2013
100

2014
100

2015
100

2016
100

2017
100


Nel 2013, dopo aver imputato a bilancio la quota annuale di ammortamento, la società – valutata l’impossibilità di recuperare il costo residuo – procede a svalutare il bene di un importo di 200 euro, secondo il disposto dell’art. 2426, n. 3, c.c. pur restando invariata la vita residua.
A seguito di ciò si ha un disallineamento tra il costo fiscale e quello civilistico, che si riduce, dal 2014, mano a mano che vengono dedotte maggiori quote di ammortamento rispetto a quanto imputato a bilancio.

Anno
Quota annuale
di ammortamento
Svalutazione
Valore netto
contabile
Valore fiscalmente riconosciuto,
al netto degli ammortamenti dedotti

2008
100

900
900

2009
100

800
800

2010
100

700
700

2011
100

600
600

2012
100

500
500

2013
100
200
200 (1)
400

2014
50

150
300 (2)

2015
50

100
200 (2)

2016
50

50
100 (2)

2017
50

0
0 (2)

(1) Valore netto precedente (500) meno quota annuale di ammortamento (100) e svalutazione (200).
(2) Il valore fiscalmente riconosciuto viene ridotto ogni anno per in valore di ammortamento pari a 100 (limite massimo previsto dall’art. 102, Tuir) di cui: 50 per ammortamento indicato a Conto economico e 50 per maggiori ammortamenti deducibili ai sensi dell’art. 109, co. 4, lett. a), Tuir.




5. CORREZIONE di ERRORI in BILANCIO
Il bilancio deve rilevare anche gli errori contabili commessi nei precedenti esercizi.
La correzione riguarda una falsa rappresentazione qualitativa e/o quantitativa non corretta di un dato di bilancio: errori di calcolo, nell’interpretazione di fatti e informazioni disponibili già al momento dell’accadimento del fatto aziendale. Si tratta di fattispecie ben diverse dai cambiamenti di stima o dall’adeguamento di stime non derivanti da errori.
Sul punto, il Principio contabile Oic 29 prevede che la correzione avvenga rettificando la voce patrimoniale interessata dall’errore, imputando la contropartita a Conto economico dell’esercizio in cui viene rilevato alla voce E20 o E21 (proventi e oneri straordinari), in un’apposita sottovoce denominata «componenti di reddito relativi ad esercizi precedenti».
La questione si pone nel campo fiscale, dato che i componenti negativi sono deducibili solo nell’esercizio di competenza degli stessi, e non in quelli successivi in cui avviene l’iscrizione a Conto economico.
In altre parole, un costo del 2010 non rilevato in tale esercizio non può essere dedotto nel 2013 quando avviene la correzione dell’errore.
La soluzione è stata fornita dalla C.M. 24.9.2013, n. 31/E che ha previsto la possibilità di recuperare la deducibilità del costo non dedotto in base al principio di competenza mediante la presentazione di una «dichiarazione integrativa di sintesi».
Il componente di reddito (positivo o negativo) iscritto a Conto economico per correggere un errore non può assumere rilevanza fiscale nell’esercizio di contabilizzazione, per difetto del principio di competenza.
Il contribuente dovrà presentare una dichiarazione integrativa: l’eventuale credito emergente potrà essere utilizzato in compensazione ovvero potrà essere riportato nella dichiarazione del periodo d’imposta successivo.

ESEMPIO
Si ipotizzi che nel corso del 2013 la Rossi S.r.l. si accorga di non aver iscritto un costo di competenza di un esercizio precedente.
A livello civilistico si contabilizzerà un onere straordinario (cd. sopravvenienza passiva), mentre dal punto di vista fiscale:
  • occorrerà presentare istanza di rimborso o, in alternativa (e questo è l’aspetto di novità interpretativa), presentare una dichiarazione integrativa. Se il costo risultasse di competenza del 2012 il contribuente potrebbe presentare una dichiarazione integrativa entro l’anno (30.9.2014) ai sensi dell’art. 2, co. 8-bis, D.P.R. 322/1998. Se il costo fosse di competenza di precedenti periodi d’imposta (ad es. anno 2010) occorre procedere alla riliquidazione autonoma della dichiarazione relativa al periodo d’imposta nel quale è avvenuta l’omessa imputazione (2010) e, allo stesso modo, di quelle successive, fino ad arrivare al primo periodo d’imposta per il quale è possibile presentare l’integrativa a favore a norma del citato co. 8-bis. In pratica si procede a riliquidare il 2010 (Modello Unico 2011), il 2011 (Modello Unico 2012) e a presentare la dichiarazione integrativa a favore per il 2012 (Modello Unico 2013), purché la società si accorga dell’errore prima di un anno dal termine di trasmissione (ossia, entro il 30.9.2014);
l’onere iscritto nel 2013 non potrà concorrere alla formazione del reddito relativo al 2013 e si dovrà, quindi, operare una variazione in aumento nel Quadro RF (nel Modello Unico 2014 SC sono previsti i codici 37 e 38 per indicare, in corrispondenza del rigo RF31, la sterilizzazione di correzione di errori, rispettivamente, negative e positive).

Si ricorda che la possibilità di ottenere il riconoscimento di elementi di costo non dedotti per errori contabili subisce l’unica limitazione rappresentata dall’accertabilità del periodo d’imposta al quale l’onere si riferisce. Così fino al 31.12.2014 potranno essere recuperati elementi reddituali di competenza fino al 2009.

ERRORI CONTABILI – CORREZIONE
Errore di bilancio
Correzione
in Conto economico
,
tra i componenti
straordinari
Variazione in aumento nel Modello Unico 2014,
con possibilità di presentare
una dichiarazione integrativa di sintesi
(C.M. n. 31/E/2013)

6. RIVALUTAZIONE
dei BENI AZIENDALI
L’art. 1, co. 140-147, L. 147/2013 ha riaperto l’opportunità di rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni risultanti dal bilancio dell’esercizio, attraverso il pagamento di un’imposta sostitutiva con aliquota del 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per i beni non ammortizzabili. Per l’affrancamento del saldo attivo della rivalutazione è invece prevista un’imposta sostitutiva del 10%.
In particolare, con l’art. 1, co. 140-146 suddetto, il Legislatore, anche richiamando – in quanto compatibili – precedenti disposizioni di rivalutazione (contenute nella L. 21.11.2000, n. 342 e nella L. 30.12.2004, n. 311) e le relative disposizioni di attuazione (di cui al D.M. 13.4.2001, n. 162 e al D.M. 19.4.2002, n. 86) ha proposto una norma cd. «salva-bilancio».
Con il fine, tra l’altro, di aumentare il patrimonio netto delle società e, quindi, di evitare la necessaria copertura delle perdite che potrebbero derivare dalla crisi economico-finanziaria in atto, ha concesso alle imprese che non adottano i Principi contabili internazionali nella redazione del bilancio, di derogare al criterio del costo previsto dal Codice civile (ex art. 2426 c.c.) e di effettuare la rivalutazione dei beni d’impresa.
È possibile rivalutare i beni d’impresa – materiali ed immateriali, ammortizzabili o meno – e le partecipazioni, ad esclusione degli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa (cd. «beni-merce»), risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2012 (ed ancora presenti nel bilancio nel quale viene effettuata la rivalutazione; si veda il punto successivo).
Ad esempio, i beni acquisiti in leasing e riscattati prima di questa data possono essere oggetto di rivalutazione.
Tra i beni rivalutabili sono tra l’altro compresi quelli:
  • di costo unitario non superiore a euro 516,46;
  • completamente ammortizzati;
  • in corso di costruzione, per la parte iscritta in contabilità.
Relativamente ai beni immateriali deve trattarsi di beni giuridicamente tutelati (ad esempio, diritti di concessione, marchi di fabbrica, diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, ecc.). Non possono essere rivalutati, infatti, l’avviamento, i costi d’impianto e di ampliamento e le altre spese pluriennali.
La rivalutazione deve obbligatoriamente essere effettuata per categorie omogenee di beni. Essa, tuttavia, non deve essere effettuata necessariamente per tutte le categorie di beni, in quanto è possibile scegliere quale categoria omogenea rivalutare e quale no. Però, dopo aver deciso di rivalutare una determinata categoria, è necessario rivalutare tutti i beni ad essa appartenenti.
Per quanto riguarda la tecnica di rivalutazione, sono previsti tre metodi (art. 5, D.M. 162/2001) che determinano diversi effetti civilistici e fiscali (C.M. n. 18/E/2006 e C.M. n. 22/E/2009, par. 3):
  • rivalutazione del valore iscritto nell’attivo;
  • rivalutazione sia di tale valore che del fondo di ammortamento (al fine di mantenere inalterata la durata del processo di ammortamento);
  • riduzione del fondo di ammortamento.
La rivalutazione va eseguita nel bilancio o rendiconto dell’esercizio successivo a quello in corso al 31.12.2012 e per il quale il termine di approvazione scade successivamente alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame (1.1.2014).
Essa deve riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea e va annotata nell’inventario e nella Nota integrativa.
Gli effetti fiscali sono subordinati al versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, relative addizionali e dell’Irap (aliquote del 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per i beni non ammortizzabili).
Secondo i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate a Telefisco 2014, le imprese che sceglieranno di rivalutare i beni e le partecipazioni saranno tenute a versare l’imposta sostitutiva: in pratica non si tratta di una rivalutazione gratuita, con soli effetti civili.
La valenza fiscale della procedura di rivalutazione opera a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita (2016).
Nel caso in cui i beni rivalutati, prima dell’inizio del quarto esercizio successivo a quello in cui la rivalutazione è stata effettuata (2017), siano ceduti a titolo oneroso, assegnati ai soci, destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore, ai fini della determinazione di plusvalenze (o minusvalenze) si ha riguardo al costo del bene prima della rivalutazione.
Nel frattempo si ricorda che coloro che hanno aderito alla precedente rivalutazione (art. 15, D.L. 185/2008), si trovano di fronte agli effetti fiscali proprio nel 2013, limitatamente ad ammortamenti, spese di manutenzione (ed effetti relativamente alle società di comodo), mentre ai fini delle plusvalenze o delle minusvalenze l’effetto ci sarà nel bilancio del 2014.
Anche il saldo attivo della rivalutazione può essere affrancato mediante il versamento di un’imposta sostitutiva del 10%.
Si ritiene – data l’analogia delle modalità di rivalutazione con quelle del passato – possibile far riferimento ad alcuni chiarimenti emanati dall’Agenzia delle Entrate sul tema (CC.MM. 16.11.2000, n. 207 e 18.6.2001, n. 57/E).
7. POTENZIAMENTO dell’ACE
Aumenta, per il triennio 2014-2016, il rendimento nozionale del capitale deducibile dal reddito imponibile ai fini dell’Ace, finalizzato ad incentivare le società e le imprese che si finanziano con mezzi propri (art. 1, co. 137 e 138, L. 147/2013).
L’Ace consente di dedurre dal reddito d’impresa un importo pari all’incremento del capitale proprio (per società di capitali) o pari al patrimonio netto risultante alla fine dell’esercizio (per imprese individuali e società di persone) moltiplicato per una percentuale di rendimento nozionale.
Pertanto, le vicende del patrimonio netto di bilancio impattano profondamente sull’agevolazione.

ACE – RENDIMENTO NOZIONALE
Periodo di applicazione
Rendimento nozionale del nuovo capitale proprio
Primo triennio di applicazione (2011-2013) (*)
3%
Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014
4%
Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015
4,5%
Periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016
4,75%
Dal settimo periodo d’imposta
l’aliquota è determinata con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze da emanare entro il 31 gennaio di ogni anno, tenendo conto dei rendimenti finanziari medi dei titoli obbligazionari pubblici, aumentabili di ulteriori tre punti percentuali a titolo di compensazione del maggior rischio
(*) Il primo periodo di applicazione è stato quello in corso al 31.12.2011, verificando l’aumento del patrimonio rispetto al patrimonio netto risultante dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2010.

La norma specifica, infine, che, per i soggetti che beneficiano dell’Ace, l’acconto delle imposte sui redditi dovute per i periodi d’imposta in corso al 31.12.2014 e al 31.12.2015 è fissato utilizzando l’aliquota percentuale per il calcolo del rendimento nozionale del capitale proprio relativa al periodo d’imposta precedente. Ciò dovrebbe comportare in sostanza la mancata computazione negli acconti degli incrementi delle aliquote sopra richiamati.
8. COMPENSO degli AMMINISTRATORI
Nel corso del 2013 la Cassazione ha confermato il proprio orientamento che subordina la deducibilità dei compensi agli amministratori ad un’esplicita delibera assembleare che ne confermi la spettanza e quantifichi l’importo dovuto, salvo che tali elementi (spettanza e quantificazione) non siano fissati nello statuto (Cass., sent. 19.7.2013, n. 17673 e Cass., sent. 4.9.2013, n. 20265).
Diversamente, il componente negativo non presenterebbe i requisiti di certezza e determinabilità che ne consentono la deduzione (art. 109, co. 1, D.P.R. 917/1986).
Tra l’altro, detta delibera non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio nel quale il compenso risulta evidenziato. Infatti, l’art. 2389 c.c. prevede che «i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea» e tale previsione non è derogabile (Cass., SS.UU., sent. 29.8.2008, n. 21933; in senso analogo Cass., sent. 10.12.2010, n. 24957).
È dunque necessario che i compensi erogati ed indicati in bilancio trovino conferma in un’esplicita delibera dei soci che stabilisca l’ammontare dei compensi spettanti agli amministratori, nonché le eventuali variazioni.

Resta, inoltre, ferma la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di sindacare gli importi stessi (R.M. 31.12.2012, n. 113/E).

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