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Novita' su CONTRATTI a TERMINE, SOMMINISTRAZIONE e APPRENDISTATO

CONTRATTI a TERMINE, SOMMINISTRAZIONE
e APPRENDISTATO
NOVITÀ del D.L. 34/2014





In questa Circolare


  1. Contratto di lavoro a termine

  1. Contratto di apprendistato

  1. Contratto di somministrazione a termine

  1. Documento unico di regolarità contributiva (Durc)

  1. Contratti di solidarietà




Le novità introdotte con il D.L. 20.3.2014, n. 34, fatte salve eventuali possibili modifiche in sede di conversione, hanno un immediato significativo impatto sul diritto del lavoro e interessano da vicino tutti i datori di lavoro.
1. CONTRATTO di LAVORO a TERMINE
La disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato è contenuta nel D.Lgs. 6.9.2001, n. 368, che è stato più volte modificato con successivi interventi del Legislatore. Solo per citare gli ultimi provvedimenti, che hanno poi in qualche modo costituito la «base di partenza» per quanto è stato da ultimo introdotto con il D.L. 34/2014, vanno ricordati:
  • la L. 28.6.2014, n. 92 (cd. Riforma Fornero) che ha introdotto – seppur con non poche limitazioni – il contratto a termine «acausale», ossia quello per il quale non si richiede che il datore proceda all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo;
  • il D.L. 28.6.2013, n. 76, conv. con modif. dalla L. 9.8.2013, n. 99, che ha rivisto la disciplina del medesimo contratto a termine «acausale», introdotta solamente un anno prima, cercando di agevolarne ulteriormente l’utilizzo mediante la possibilità di proroga (entro i 12 mesi di durata massima) e prevedendo altresì un più ampio potere di intervento da parte della contrattazione collettiva, anche aziendale.
Indicazione delle ragioni
Anche se, per espressa previsione della norma, le ragioni che giustificavano l’apposizione del termine potevano essere riferite e riferibili anche alla «ordinaria attività del datore di lavoro», cionondimeno il datore – fatte salve le poche eccezioni introdotte nel 2012 e migliorate nel 2013 – doveva comunque, in tutti gli altri casi, dimostrare l’esistenza di una fondata ragione (o causale) di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo: in caso di contestazioni, ovvero anche in caso di non sufficiente specificazione della causale (per esempio l’omissione del nominativo del lavoratore assente per la sostituzione del quale si procedeva all’assunzione a tempo determinato), inevitabilmente si aveva la conversione del contratto in ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dato che, come recita il co. 01 dell’art. 1, «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro».
Dal 21.3.2014, per effetto delle nuove disposizioni – fermo restando l’obbligo della stipulazione del contratto, indicazione della scadenza inclusa, in forma scritta – è invece scomparso l’obbligo di indicare le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive. La nuova formulazione della norma, infatti, prevede che è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione:
  • sia nella forma del contratto di lavoro a tempo determinato,
  • sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del co. 4 dell’art. 20, D.Lgs. 10.9.2003, n. 276.
Ne consegue, quindi, quanto esposto nella tabella seguente.

Indicazione delle causali nel contratto a termine prima e dopo il D.L. 34/2014
Fattispecie
Disciplina sino al 20.3.2014
Disciplina dal 21.3.2014
Indicazione delle ragioni
Prevista come regola generale, tranne specifiche eccezioni
Non è più necessaria
Contratto “acausale” regolato dalla legge
Primo rapporto a termine, concluso fra un datore o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, anche nel caso di prima missione nell'ambito di un contratto di somministrazione a termine
Tale previsione è stata totalmente abolita, stante l’introduzione della regola per la quale le ragioni non vanno più indicate, sia che si tratti di contratto a termine che di somministrazione a termine, a prescindere dal fatto che si tratti del “primo rapporto”
Contratto “acausale” regolato dal contratto collettivo, anche aziendale
Possibilità di stipula in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali
Tale previsione è stata abolita, stante l’introduzione della regola per cui le ragioni non vanno mai indicate
Durata massima del contratto a termine “acausale”
Per il contratto “acausale” di legge: durata non superiore a 12 mesi inclusa eventuale proroga; per quello regolato dal contratto collettivo: con le regole ivi stabilite
La nuova formulazione della norma consente una durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe (quindi più di una sola volta per il medesimo rapporto)

Per essere ancora più chiari, la nuova formulazione del co. 2 dell’art. 1 dispone ora che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto; mentre, invece, la stesura previgente prevedeva che l’apposizione del termine fosse priva di effetto ove non risultasse, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale dovevano essere specificate le ragioni, fatta salva la possibilità di stipula (in via di eccezione) del contratto «acausale», che non richiedeva la sussistenza delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo.
Ne deriva che il datore di lavoro, che assuma a termine a partire da venerdì 21.3.2014, ha solo l’obbligo di stipulare il contratto per iscritto ma non quello di indicare perché assume a termine.
La durata massima è pari a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe, e quindi:
  • se è stata prevista una durata inferiore, per esempio 12 mesi, è certamente possibile aggiungere altri mesi, con un massimo di 24, stipulando una o più proroghe, le quali parimenti non necessitano, salva la forma scritta, di alcuna specificazione delle ragioni;
  • se il rapporto è stato stipulato, fin dall’origine, per la sua durata massima, ossia 36 mesi, non sarà poi possibile prorogarlo in alcun modo.
Non è, infatti, stata modificata la disposizione contenuta nell’art. 5, secondo la quale la durata massima di tutti i rapporti a termine non può superare i 36 mesi, nel caso in cui essi abbiano riguardato lo svolgimento di mansioni equivalenti.
Una volta raggiunta la soglia dei 36 mesi, il datore di lavoro può ancora avvalersi delle prestazioni del medesimo lavoratore con le seguenti modalità:
  • in base a un’eventuale previsione del contratto collettivo che preveda una durata maggiore;
  • con la stipula di un ulteriore contratto in deroga presso la Direzione territoriale del Lavoro;
  • facendo proseguire l’ultimo contratto in corso per un massimo di 30 giorni. In tal caso, al lavoratore spetta una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Fino a 8 proroghe per il medesimo contratto
Sino al 20 marzo scorso, ogni singolo contratto a termine (fermo il limite complessivo di durata derivante dalla sommatoria di tutti i rapporti a temine tra le medesime parti, pari a 36 mesi in caso di svolgimento di mansioni equivalenti) poteva essere prorogato una sola volta, nel limite complessivo di durata dei medesimi 36 mesi.

Disciplina della proroga del contratto a termine prima e dopo il D.L. 34/2014
Fattispecie
Disciplina sino al 20.3.2014
Disciplina dal 21.3.2014
Numero di proroghe dello stesso contratto a termine
1 sola volta
Fino a 8 volte
Durata massima del contratto, inclusa la proroga o le proroghe
36 mesi in tutto: il contratto stipulato sin dall’origine con durata pari a 36 mesi non era mai prorogabile
36 mesi in tutto: il contratto stipulato sin dall’origine con durata pari a 36 mesi non è mai prorogabile
Altre condizioni
La proroga doveva essere richiesta da ragioni oggettive e riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto era stato stipulato a tempo determinato. L'onere della prova relativa all'obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l'eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro
Le proroghe devono riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. L'onere della prova relativa all'obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l'eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro

Nessuna norma impone che la proroga o le proroghe (fino a 8 volte) abbiano la medesima durata del contratto cui fanno riferimento.
Ne consegue che, fermo il rispetto del limite massimo dei 36 mesi, il datore di lavoro – a decorrere dal 21.3.2014 – può avvalersene una o più volte per la durata che ritiene necessaria, stipulando la proroga per iscritto ma senza indicare le relative ragioni.

Esempi – Proroghe del contratto a termine dal 21.3.2014
Durata iniziale
Possibilità di proroga
3 anni
Il contratto non è prorogabile perché è già stato usato tutto il tempo disponibile
2 anni
Ammesse fino a un massimo di 8 proroghe per un totale di durata residua di 12 mesi, si arriva così al totale di 3 anni
1 anno e mezzo
Le proroghe sono ammesse, da 1 a 8, al massimo per un periodo identico a quello del contratto originario, si arriva così al totale di 3 anni
1 anno
La proroga può riguardare un massimo di altri 2 anni. Per esempio, sono possibili 8 proroghe da 3 mesi ciascuna, ovvero da 1 a 8 proroghe ognuna delle quali può avere durata differente rispetto alle altre
Pause intermedie
Nulla è mutato, invece, quanto alle pause intermedie tra due distinti contratti a termine stipulati tra le medesime parti. A tale proposito, l’art. 5, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368, dispone quanto segue:
  • quando si tratta di due assunzioni successive a termine, ossia quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto;
  • qualora il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato;
  • qualora il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai 6 mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.
Va tuttavia evidenziato che tali disposizioni non si applicano nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali definite dal D.P.R. 7.10.1963, n. 1525, e nelle medesime attività individuate dagli avvisi comuni e dai Contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori più rappresentative, nonché in relazione a tutte le altre ipotesi individuate dai Contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori più rappresentative sul piano nazionale.
È, quindi, assolutamente pacifico ed evidente che i contratti collettivi – anche aziendali – possano introdurre clausole con le quali si consenta al datore di lavoro di riassumere il medesimo lavoratore con una serie di distinti rapporti di lavoro a tempo determinato senza rispettare alcuna pausa intermedia, ovvero – per esempio – richiedendo un intervallo solamente di 2 giorni (in luogo dei 10 previsti dalla norma) se il rapporto a termine appena scaduto si è protratto per 3 mesi.
Numero massimo di lavoratori a termine
L’art. 1, co. 1, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368, come modificato dal D.L. in commento, dispone ora quanto segue: «fatto salvo quanto disposto dall’art. 10, co. 7, il numero complessivo di rapporti di lavoro costituiti da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo, non può eccedere il limite del 20 per cento dell’organico complessivo. Per le imprese che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato».
Tale formulazione pone qualche delicato problema applicativo, in quanto, nel primo caso, occorre anzitutto comprendere come debba essere calcolato l’organico.
Deve ritenersi che siano da includere tutti i dipendenti assunti a tempo indeterminato, dirigenti e lavoratori intermittenti inclusi (con qualche dubbio per quanto concerne gli apprendisti); non è, invece, chiaro se possano operare eventuali arrotondamenti, così per esempio nel caso di un datore di lavoro con 13 dipendenti, il 20% dà come risultato 2,6 unità: in tal caso è certamente possibile assumere 2 lavoratori a termine, e forse anche 3, dato che – di norma – in questi casi, si sale all’unità superiore.
Più delicata l’interpretazione della disposizione secondo cui «le imprese» che occupano fino a cinque dipendenti possono stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato: anche in questo caso, salvo autorevoli smentite da parte del Ministero, dobbiamo auspicare che si sia inteso comunque fare riferimento «ai datori di lavoro», diversamente ne resterebbero esclusi, per esempio, gli studi professionali di minori dimensioni, che sono poi la stragrande maggioranza di quelli attivi.
Va spesa una parola sui contratti a termine che eccedono tali limiti e che sono già in essere presso datori di lavoro che – proprio in base al requisito numerico – non potrebbero oggi averne: deve ritenersi che tali rapporti a termine proseguiranno senza problemi fino alla loro naturale scadenza.
Infine, va ricordato quanto previsto dall’art. 10, co. 7, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368, cui la nuova disposizione rimanda, il quale prevede che l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto di lavoro a tempo determinato è affidata ai Contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
La norma aggiunge poi che sono, in ogni caso, esenti da limitazioni quantitative (e quindi il contratto collettivo non può limitare il numero di rapporti a termine) i contratti a tempo determinato conclusi nelle seguenti ipotesi:
  • nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai Contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
  • per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell’elenco allegato al D.P.R. 7.10.1963, n. 1525 e successive modificazioni;
  • per specifici spettacoli o programmi radiofonici o televisivi;
  • con lavoratori di età superiore a 55 anni, ovvero con coloro che li abbiano già compiuti anche solamente da un giorno.
2. CONTRATTO di APPRENDISTATO
Altro rapporto di lavoro oggetto di intervento da parte del D.L. 34/2014 è il contratto di apprendistato, rispetto al quale si è mirato a un sostanziale alleggerimento degli obblighi formali, onde favorirne una maggior diffusione, stante il fatto che, nonostante il lieve carico contributivo, tale tipologia di rapporto stenta a raggiungere lo scopo, che gli è proprio, di favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani.
Piano formativo individuale
Fermo restando l’obbligo della forma scritta per il contratto e il patto di prova, la cui mancanza è sanzionata con una pena pecuniaria da 100 euro a 600 euro, è stato eliminato qualsiasi riferimento alla redazione del piano formativo individuale, che era da definire, anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, entro 30 giorni dalla stipulazione del contratto. Ne consegue che il piano formativo individuale non è più necessario per tutti i nuovi contratti di apprendistato stipulati a partire dal 21.3.2014.
Percentuali di conferma in servizio
Con grande sollievo dei datori di lavoro, è stata abrogata una delle disposizioni più invise, ossia quella che imponeva, fermo il numero massimo di apprendisti impiegabili in relazione all’organico del datore di lavoro – prima di poter procedere a nuove assunzioni – il rispetto di una determinata percentuale di conferme in servizio, che poteva essere fissata dai Contratti collettivi per i datori di lavoro fino a 9 dipendenti, ed era invece prevista direttamente dalla legge per i datori di lavoro di maggiori dimensioni, ossia quelli con almeno 10 dipendenti, nelle seguenti misure:
  • 30% degli apprendisti in scadenza fino al 17.7.2015;
  • 50% degli apprendisti in scadenza a partire dal 18.7.2015.
È conseguentemente venuta meno anche la connessa sanzione della trasformazione in «ordinario rapporto di lavoro subordinato» che era collegata all’assunzione di eventuali apprendisti in soprannumero (al netto delle eccezioni che erano previste).
Resta fermo, come anticipato sopra, il vincolo numerico collegato all’organico del datore di lavoro che, per le aziende non artigiane, limita la contemporanea presenza di apprendisti con riguardo al numero dei dipendenti già qualificati in servizio.

Limiti numerici per l’assunzione di apprendisti (aziende non artigiane)
Organico del datore di lavoro
Numero massimo apprendisti
Da 0 a 3 dipendenti già qualificati
Massimo 3 apprendisti
Da 4 a 9 dipendenti già qualificati
1 apprendista per ogni lavoratore qualificato
Da 10 dipendenti già qualificati in su
3 apprendisti ogni 2 dipendenti già qualificati

Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale
All’art. 3, D.Lgs. 14.9.2011, n. 167 è stato aggiunto il co. 2-ter, il quale dispone che, fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, in considerazione della componente formativa del contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, al lavoratore è riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo. Ne deriva che – salva una diversa più favorevole disposizione contenuta nel Contratto collettivo – la retribuzione erogata per le ore di formazione sarà ulteriormente ridotta, con conseguenti sensibili risparmi in capo al datore di lavoro.
Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere
Con riguardo a tale tipologia di apprendistato, invece, la norma introdotta ex novo lascia qualche dubbio, che dovrà essere chiarito dal Ministero con una circolare, ovvero in sede di conversione del D.L. 34/2014.
Infatti, se la precedente stesura dell’art. 4, co. 3, prevedeva che «la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere, svolta sotto la responsabilità della azienda, è integrata, nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna alla azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali (…)», la locuzione «è integrata» è stata sostituita con la seguente «può essere integrata». Il dubbio non è di poco conto e, come evidenziato nella Circolare 21.3.2014, n. 5 emanata dalla Fondazione Studi del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, ad una prima lettura – secondo la quale lo svolgimento della formazione per l’acquisizione delle competenze di base e trasversali sarebbe ora meramente facoltativo e non rappresenterebbe più un obbligo per il datore di lavoro – se ne affianca un’ulteriore, di portata ben diversa. In base a tale diversa interpretazione, l’espressione «può essere integrata» potrebbe anche significare che sono le Regioni ad avere il potere di disporre, o meno, lo svolgimento della formazione di base e trasversale.
3. CONTRATTO di SOMMINISTRAZIONE a TERMINE
Semplificazione ad ampio raggio anche per quanto concerne il contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato: le causali, ossia le ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, vengono eliminate (in tutto e per tutto) anche per la somministrazione a termine. Infatti, è stata prevista la legittimità della somministrazione a termine «acausale», purché di durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe (art. 1, co. 1, D.Lgs. 368/2001).
È stato poi modificato l’art. 20, co. 4, D.Lgs. 276/2003, eliminando i primi due periodi in cui si prevedeva che la somministrazione di lavoro a tempo determinato era ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, salve le medesime ipotesi di «acausalità» previste per il contratto a tempo determinato.
Resta, invece, fermo il potere del Contratto collettivo nazionale di porre in essere limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione di lavoro a tempo determinato.
4. DOCUMENTO UNICO di REGOLARITÀ CONTRIBUTIVA (DURC)
Dopo le modifiche introdotte con il D.M. 13.3.2013, che consentono ai datori di lavoro che, da un lato, hanno dei debiti nei confronti degli istituti previdenziali, assicurativi e delle Casse edili ma, dall’altro, vantano crediti nei riguardi delle pubbliche Amministrazioni, di richiedere, comunque, la certificazione di regolarità contributiva (Durc), l’art. 4, D.L. 34/2014 introduce ulteriori semplificazioni.
A tale proposito dovrà però essere emanato, entro 60 giorni, un apposito provvedimento, dopo di che chiunque potrà accertare – con una semplice interrogazione on line – la regolarità contributiva di un’impresa, in tempo reale e con validità del documento pari a 120 giorni.
5. CONTRATTI di SOLIDARIETÀ
Da ultimo, merita segnalare l’avvenuto stanziamento di 15 milioni di euro per il finanziamento dei contratti di solidarietà difensivi con erogazione del trattamento di Cassa integrazione straordinaria, per evitare che vengano adottati provvedimenti di riduzione degli organici.

Ricordiamo che l’integrazione salariale, per l’anno 2014, è pari al 70% del reddito perso dal lavoratore.

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