DECRETO «LAVORO» (D.L. 34/2014) NOVITÀ della LEGGE di CONVERSIONE (L. 78/2014)
- Contratto di lavoro a tempo determinato
- Somministrazione a termine
- Apprendistato
- Durc
- Contratti di solidarietà
La
nuova regolamentazione del contratto di lavoro a termine,
della somministrazione e dell’apprendistato, solo per
citare gli istituti modificati in misura maggiormente significativa,
è finalmente giunta in porto, stante la conversione del D.L.
20.3.2014, n. 34, avvenuta con la L. 16.5.2014, n. 78, pubblicata
nella G.U. 19.5.2014, n. 114.
Non
poche, e anzi assolutamente rilevanti, sono le novità che
interessano da vicino tutti i datori di lavoro e che vengono di
seguito illustrate.
1.
CONTRATTO di LAVORO
a TEMPO DETERMINATO
a TEMPO DETERMINATO
Forma
e indicazione delle ragioni
Prima
di esaminare la nuova disciplina, si ricorda che non è affatto
mutata la dichiarazione di principio contenuta nel co. 01 dell’art.
1, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368, secondo il quale «il contratto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune
di rapporto di lavoro.» Ne deriva che senza forma scritta non
c’è contratto a termine.
Fermo
restando l’obbligo di stipulare il contratto in forma scritta, è
invece definitivamente venuto meno l’obbligo di
indicare le ragioni che legittimavano l’assunzione a tempo
determinato. Le causali tecniche, organizzative, produttive o
sostitutive diventano, dunque, solo un ricordo.
Limiti
numerici
L’agevolazione
consistente nella generalizzazione della «acausalità»
(ossia nel venir meno dell’obbligo di indicare le ragioni, sinora
posto a carico del datore di lavoro) è controbilanciata dalla
previsione di limiti numerici, affidati in primo luogo al
contratto collettivo. Infatti, la nuova formulazione dell’art.
1, co. 1, dispone che «fatto salvo quanto disposto dall’art.
10, co. 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato
(…)».
Iniziamo,
quindi, con l’evidenziare che l’art. 10, co. 7, dispone che
l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti
quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo
determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro
(CCNL) stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
Sono
in ogni caso esenti da limitazioni quantitative – nel
senso che il CCNL non può impedire che il datore di lavoro li
stipuli – i contratti a tempo determinato conclusi:
- nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai CCNL anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
- per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell’elenco allegato al D.P.R. 7.10.1963, n. 1525;
- per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
- con lavoratori di età superiore a 55 anni.
Invece,
laddove il contratto collettivo non ponga alcun limite, il compito di
«porre un freno» al numero di contratti a termine, che ogni datore
di lavoro può concludere, è stato assunto direttamente da parte dal
Legislatore. Infatti, con una riscrittura più chiara e lineare, si
prevede ora che il numero complessivo di contratti a tempo
determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non possa
eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Per
i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è sempre
possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato. I
datori di lavoro di minori dimensioni (fino a 5 dipendenti)
possono sempre assumere 1 lavoratore a termine, anche qualora non
abbiano neppure 1 dipendente.
Per
il computo dell’organico dei datori che superano i 5 dipendenti,
cioè che hanno almeno 6 lavoratori a tempo indeterminato al 1°
gennaio dell’anno di assunzione, va considerato quanto segue:
- si contano tutti i lavoratori a tempo indeterminato assunti con qualifica di dirigente, funzionario, quadro, impiegato e operaio, esclusi però gli apprendisti;
- per i lavoratori a tempo indeterminato che sono stati assunti a tempo parziale, il conteggio va effettuato in proporzione all’orario effettivamente svolto rispetto a quello a tempo pieno;
- 2 lavoratori con contratto di lavoro ripartito a tempo indeterminato si contano come 1 sola unità;
- i lavoratori a tempo intermittente (e indeterminato) sono computati in relazione all’orario di lavoro effettivamente svolto in ciascun semestre;
- i lavoratori presenti in azienda in quanto siano stati distaccati da parte di un altro datore di lavoro non contano nell’organico del distaccatario ma solo in quello del distaccante.
Sanzioni
amministrative
Strettamente
collegata al limite di contratti a termine che sono stipulabili in
maniera legittima, è la questione delle sanzioni economiche
previste. A tale proposito, il nuovo testo dell’art. 5, co.
4-sexies, dispone che – in caso di violazione del limite
percentuale di cui all’art. 1, co. 1, ossia di quello contrattuale
o, in sua assenza, di quello legale – per ciascun lavoratore si
applica la sanzione amministrativa pari al:
- 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se viene assunto 1 solo lavoratore a termine che ecceda il massimo consentito;
- 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno, ossia se i lavoratori sono da 2 in su.
ESEMPIO
– SANZIONI APPLICABILI
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Se
viene assunto 1 solo lavoratore a termine eccedente per una durata
di 3 mesi, il datore di lavoro dovrà versare una sanzione pari al
20% della retribuzione per 3 mesi. Invece, se si tratta di 3
lavoratori «in più», la sanzione sale al 50% della retribuzione
erogata, per ogni lavoratore e per ogni mese di sforamento. Si
faccia attenzione che il numero dei mesi potrebbe essere
differente per ogni lavoratore, dipendendo unicamente dalla durata
del contratto a termine che non poteva essere stipulato con
ciascuno di essi.
|
Entrata
in vigore
La
norma pone un delicato problema relativo al fatto che il
contingentamento di legge rappresenta una novità dal 21.3.2014
(seppure con una formulazione differente), ed è stato poi
ulteriormente e sostanzialmente modificato con la conversione in
legge del D.L. 34/2014.
Le
norme interessate sono molte, e in particolare comprendono: gli artt.
1 e 2-bis, D.L. 34/2014, nonché gli artt. 1 e 5, D.Lgs. 368/2001,
contemplando differenti riferimenti temporali, aliquote di impiego,
termini per «rientrare», nonché sanzioni economiche. In attesa dei
necessari chiarimenti ministeriali, si tenta di fare un po’
d’ordine, cercando di distinguere le norme applicabili con
calendario alla mano.
A)
Contratti a termine già sottoscritti e in corso di svolgimento prima
dell’entrata in vigore del D.L. 20.3.2014, n. 34 (ossia fino al
20.3.2014) – Va evidenziato che l’art. 2-bis, D.L.
34/2014, introdotto dalla legge di conversione, dispone che le nuove
disposizioni di cui all’art. 2, ossia quelle sui limiti numerici,
si applicano ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere alla
data di entrata in vigore del medesimo decreto, e che sono fatti
salvi gli effetti già prodotti dalle disposizioni introdotte dal
decreto stesso.
Il
co. 2-ter dell’art. 1, D.L. 34/2014, anch’esso aggiunto dalla
legge di conversione, dispone che «la sanzione di cui all’art.
5, co. 4-septies, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368, (…) (ossia quella
economica del 20% o del 50%), non si applica per i rapporti di lavoro
instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore del
presente decreto, che comportino il superamento del limite
percentuale di cui all’art. 1, co. 1, del decreto legislativo 6
settembre 2001, n. 368, (...)».
In
pratica ne deriva che – se il contratto a termine è stato
stipulato fino al 20.3.2014 compreso – l’unico vincolo numerico
che doveva essere rispettato era quello eventualmente previsto da
parte del contratto collettivo, che è possibile prorogarlo solo una
volta (ove ciò non sia già stato fatto in precedenza), che i
rapporti in corso proseguono fino alla loro naturale scadenza e,
infine, che – laddove le nuove assunzioni a termine comportino il
superamento dei limiti di legge o (prima ancora) di contratto –
esse non potranno essere portate a termine, pena il pagamento delle
salate sanzioni amministrative previste.
B)
Contratti a termine sottoscritti dopo l’entrata in vigore del D.L.
20.3.2014, n. 34 (ossia a partire dal 21.3.2014) – Anche in
questo caso non si può dire che la norma brilli per chiarezza.
Volendo
comunque provare a dare delle indicazioni operative, occorre
anzitutto che risultino rispettati i vincoli numerici
previsti dal contratto collettivo o, in assenza di una specifica
clausola in tal senso, quelli di legge (1 contratto per datori
di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti; contratti a termine per
non più del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato presenti al 1°
gennaio dell’anno di riferimento).
In
caso di superamento, al datore per rientrare è concesso un periodo
di tempo che scadrà il prossimo 31.12.2014, salvo che un contratto
collettivo applicabile nell’azienda – e quindi anche un contratto
collettivo di secondo livello – disponga un limite percentuale (per
esempio il 30%), o un termine (per esempio il 31.12.2015), più
favorevole.
In
caso contrario, ossia dall’1.1.2015, il datore di lavoro non
potrà stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato
fino a quando non rientri nel limite percentuale stabilito dal
contratto collettivo o dalla legge.
Dovrà
essere chiarito se la violazione del divieto di nuove assunzioni a
termine sia sanzionata solamente con la sanzione pecuniaria
ovvero se i giudici adotteranno la (ben più grave) sanzione della
conversione del rapporto in contratto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato, dato che questa non è stata
esplicitamente esclusa (come invece sarebbe stato utile).
C)
Contratti a termine sottoscritti dopo la conversione in legge del
D.L. 20.3.2014, n. 34 – In questo caso la situazione è
assai più chiara: il datore di lavoro deve anzitutto verificare
quanti dipendenti a tempo indeterminato ha già alle
proprie dipendenze (con riferimento alla data del 1° gennaio di ogni
anno).
Deve
poi esaminare il contratto collettivo e, in mancanza di una clausola
specifica, deve fare riferimento ai contingenti di legge per capire
quanti dipendenti possa eventualmente assumere a tempo determinato.
Se
ne assume di più, paga la sanzione amministrativa pecuniaria in base
al numero di lavoratori in eccesso e al numero di mesi di durata del
rapporto di lavoro.
Durata
del contratto
Con
riguardo a tale problema, peraltro eminentemente pratico, una sintesi
assai semplice è la seguente: la durata massima del contratto
a termine (salvi casi eccezionali) è pari a 36 mesi, sia che
si tratti di un unico rapporto (comprensivo o meno di
proroghe), sia che quel medesimo lavoratore sia stato più volte
assunto, con differenti contratti a termine, per lo svolgimento
di mansioni equivalenti.
Le
novità sono concentrate nell’art. 1, co. 1, D.Lgs. 368/2001, il
quale, in buona sostanza, prevede che è consentita l’apposizione
di un termine alla durata del contratto di lavoro
subordinato di durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di
eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore
per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del
contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un
contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del
co. 4 dell’art. 20, D.Lgs. 10.9.2003, n. 276. Le maggiori novità
riguardano proprio le proroghe.
Proroghe
del contratto a termine
Non
più 1 soltanto, non più 8 come stabiliva la stesura originaria del
D.L. 34/2014, ma 5. Per meglio comprendere le novità rispetto
al passato, ossia a prima del 21.3.2014, vanno messe a confronto le
due versioni dell’art. 4, D.Lgs. 368/2001.
Art.
4, D.Lgs. 368/2001 – DISCIPLINA della PROROGA
|
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Testo
fino al 20.3.2014
|
Testo
dopo la conversione del D.L. 34/2014
|
1.
Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il
consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale
del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga
è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da
ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa
per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del
rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.
|
1.
Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il
consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale
del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi le proroghe
sono ammesse, fino a un massimo di cinque volte, nell’arco
complessivo dei 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi
e a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa
per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del
rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.
|
2.
L’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle
ragioni che giustificano l’eventuale proroga del termine stesso
è a carico del datore di lavoro.
|
2.
Comma
abrogato
dalla legge di conversione
|
Mentre
per tutti i vecchi contratti a termine è prevista una sola proroga,
per quelli stipulati a partire dalla data di entrata in vigore delle
nuove disposizioni, se la durata iniziale è inferiore a 3
anni, ossia a 36 mesi, le proroghe sono ammesse, fino a un
massimo di 5 volte, nell’arco complessivo dei 36 mesi,
indipendentemente dal numero dei rinnovi.
DISCIPLINA
della PROROGA del CONTRATTO a TERMINE
PRIMA e DOPO la CONVERSIONE del D.L. 34/2014 |
||
Fattispecie
|
Disciplina
fino al 20.3.2014
|
Disciplina
dal 21.3.2014
|
Numero
di proroghe dello stesso contratto a termine
|
1
sola volta
|
Fino
a 5 volte nell’arco complessivo dei 36 mesi, indipendentemente
dal numero dei rinnovi che, quindi, possono essere anche 2, 6 o 10
|
Durata
massima del contratto, inclusa la proroga o le proroghe
|
36
mesi in tutto: il contratto stipulato sin dall’origine con
durata pari a 36 mesi non era mai prorogabile
|
36
mesi in tutto: il contratto stipulato sin dall’origine con
durata pari a 36 mesi non è mai prorogabile
|
Altre
condizioni
|
La
proroga doveva essere richiesta da ragioni oggettive e riferirsi
alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto era
stato stipulato a tempo determinato. L’onere della prova
relativa all’obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano
l’eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di
lavoro
|
Le
proroghe devono riferirsi alla stessa attività lavorativa per la
quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. È
stato abolito l’onere della prova a carico del datore di lavoro
circa le ragioni legittimanti, dato che queste sono venute meno
già in fase di conclusione del contratto
|
Deve
trattarsi della stessa attività lavorativa per la quale il
contratto è stato stipulato a tempo determinato.
ESEMPI
di PROROGHE
|
||
Durata
iniziale
contratto |
Durata
proroghe
|
Note
|
36
mesi
|
Nessuna
|
È
già stato utilizzato tutto il tempo concesso
|
18
mesi
|
18
mesi
|
Le
parti possono concordare da 1 a 5 proroghe del contratto
originario, disponendo di un plafond residuo di 18 mesi in
tutto
|
1
mese
|
35
mesi
|
Le
parti possono concordare un’unica proroga da 35 mesi ovvero, per
esempio, 5 proroghe da 7 mesi ciascuna
|
Si
noti che la norma concede un periodo massimo di 36 mesi –
indipendentemente dal numero dei rinnovi – con proroghe per un
massimo di 5 volte, nell’arco complessivo dei 36
mesi; il che pone un tetto al numero di proroghe ma non a quello
dei contratti a termine che è possibile stipulare nei 36 mesi.
Tanto
per fare un esempio, in 36 mesi si possono collocare (al netto dei
problemi delle pause intermedie, che possono peraltro essere azzerate
con un contratto collettivo, anche aziendale) 13 contratti da 2 mesi
ciascuno (durata totale del rapporto pari a 26 mesi), ai quali
potrebbero essere aggiunte 5 proroghe da 2 mesi ciascuna, arrivando
così al «tetto» dei 36 mesi totali.
Infine,
stante la non necessità di indicare le ragioni, è stato abrogato il
co. 2 che, invece, vi faceva riferimento.
Diritto
di precedenza
Significative
anche le novità relative al diritto di precedenza. La
prima riguarda un nuovo obbligo che viene posto in capo al
datore di lavoro, il quale ora – già nel contratto di assunzione –
deve inserire un «richiamo espresso» al diritto di
precedenza, a prescindere dal fatto che si tratti o meno di lavoro
stagionale.
Invece,
con esplicito ed esclusivo riferimento al solo lavoro non
stagionale, è stato modificato l’art. 5, co. 4-quater. Prima
di illustrare la novità, si ricorda che, ai sensi della norma
citata, il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti
a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività
lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi ha diritto di
precedenza, fatte salve diverse disposizioni di contratti
collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale
con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale, nelle assunzioni a tempo indeterminato
effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi con
riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a
termine.
La
novità riguarda i criteri di computo del periodo di
anzianità pregressa – almeno 6 mesi – ma solo per le
lavoratrici che abbiano fruito del congedo di maternità
(di norma 2 mesi prima e 3 mesi dopo il parto), dato che:
- il congedo di maternità, intervenuto nell’esecuzione di un contratto a termine presso la stessa azienda, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza;
- alle medesime lavoratrici è, altresì, riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato (e quindi non solo per le nuove assunzioni a tempo indeterminato) effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine.
Attività
di ricerca scientifica
Due
ulteriori novità sono contenute nell’art. 10, co. 5-bis, norma di
nuovo inserimento. La prima attiene al fatto che non deve
essere rispettata alcuna percentuale massima di impiego
di lavoratori a termine nel caso in cui tali contratti siano
stipulati tra istituti pubblici di ricerca, ovvero enti privati di
ricerca, e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività
di:
- ricerca scientifica o tecnologica,
- di assistenza tecnica alla stessa,
- di coordinamento e direzione della stessa.
Come
ben si capisce, i limiti numerici non si applicano neppure alle
figure «manageriali» che coordinano i ricercatori, i quali hanno
invece connotazione più esplicitamente «scientifica».
L’altra
novità consiste nel fatto che i contratti di lavoro a tempo
determinato i quali abbiano a oggetto in via esclusiva lo
svolgimento di attività di ricerca scientifica (manca
il riferimento alla ricerca «tecnologica») possono avere durata
pari a quella del progetto di ricerca al quale si
riferiscono, senza quindi alcuna limitazione massima a un periodo di
36 mesi.
2.
SOMMINISTRAZIONE
a TERMINE
a TERMINE
Come
per il contratto di lavoro a termine, anche per la somministrazione
a tempo determinato scompare la necessità di specificare
le causali «di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo». L’unico punto cui fare
attenzione è costituito dal rispetto dei limiti quantitativi
massimi di utilizzo stabiliti dal contratto collettivo nazionale.
3.
APPRENDISTATO
Anche
in questo caso è possibile affermare che le novità sono positive
per le imprese, e che esse mirano ad agevolare la stipula di
questa tipologia di contratti di lavoro.
Piano
formativo individuale (PFI)
Fermo
restando che è necessaria la forma scritta del contratto e del patto
di prova, il nuovo testo dell’art. 2, D.Lgs. 14.9.2011, n. 167,
come definitivamente modificato a seguito della conversione in legge
del D.L. 34/2014, dispone che il contratto di apprendistato contiene,
in forma sintetica, il piano formativo individuale
definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla
contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali.
Conferme
in servizio
Molto
più «snella» la nuova regolamentazione delle conferme in
servizio: salvo che il CCNL non disponga diversamente, l’onere
di stabilizzazione si applica solo ai datori di
lavoro che occupano almeno 50 dipendenti. In pratica,
questi non possono assumere nuovi apprendisti se non
hanno confermato – nei 36 mesi precedenti la nuova
assunzione – almeno il 20% degli apprendisti dipendenti
dallo stesso datore di lavoro che abbiano già concluso il proprio
periodo formativo.
Apprendistato
per la qualifica
e per il diploma professionale
e per il diploma professionale
La
conversione in legge conferma che, salvo diversa previsione del
contratto collettivo, le ore di formazione sono
retribuite (almeno) al 35% della paga ordinaria.
Non solo, per le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro,
i contratti collettivi di lavoro possono prevedere specifiche
modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a
tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali.
Apprendistato
professionalizzante o contratto di mestiere
L’art.
4, co. 3, D.Lgs. 167/2011 è quello che ha subito le maggiori
modifiche. Infatti, con particolare riguardo all’offerta
formativa pubblica, interna o esterna all’azienda, finalizzata alla
acquisizione di competenze di base e trasversali, si dispone ora che
la Regione provveda a comunicare al datore di lavoro, entro 45
giorni dalla comunicazione dell’avvenuta instaurazione del
rapporto di lavoro, le modalità di svolgimento
dell’offerta formativa pubblica, anche con
riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste,
avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che
si siano dichiarati disponibili.
Percorsi
di orientamento
per gli studenti
per gli studenti
L’inserimento
in azienda degli studenti con contratti di apprendistato
può avvenire anche in deroga al limite di età, tutto
ciò con particolare riguardo agli studenti degli istituti
professionali.
4.
DURC
Cambia
a fondo anche il Durc, ovvero il Documento unico di regolarità
contributiva, che viene semplificato e «smaterializzato».
Infatti, non appena sarà approvato il decreto interministeriale la
cui emanazione è prevista a breve, chiunque (ovviamente compresa
l’impresa interessata) potrà – direttamente dal proprio personal
computer – controllare on line la regolarità
contributiva.
5.
CONTRATTI di SOLIDARIETÀ
Incentivati
i contratti di solidarietà difensivi, ossia quelli con
i quali si riduce l’orario di lavoro al fine di evitare, in tutto o
in parte, la riduzione del personale. Infatti, laddove l’impresa
rientri nel campo di applicazione della Cassa integrazione
straordinaria, per il 2014 l’assegno Inps copre il
70% della retribuzione che viene persa a seguito della
riduzione di orario, e inoltre l’azienda gode di uno sconto
contributivo del 35%.
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