Passa ai contenuti principali

DECRETO «LAVORO» (D.L. 34/2014) NOVITÀ della LEGGE di CONVERSIONE (L. 78/2014)

DECRETO «LAVORO» (D.L. 34/2014) NOVITÀ della LEGGE di CONVERSIONE (L. 78/2014)
  1. Contratto di lavoro a tempo determinato
  1. Somministrazione a termine
  1. Apprendistato
  1. Durc
  1. Contratti di solidarietà
La nuova regolamentazione del contratto di lavoro a termine, della somministrazione e dell’apprendistato, solo per citare gli istituti modificati in misura maggiormente significativa, è finalmente giunta in porto, stante la conversione del D.L. 20.3.2014, n. 34, avvenuta con la L. 16.5.2014, n. 78, pubblicata nella G.U. 19.5.2014, n. 114.
Non poche, e anzi assolutamente rilevanti, sono le novità che interessano da vicino tutti i datori di lavoro e che vengono di seguito illustrate.
1. CONTRATTO di LAVORO
a TEMPO DETERMINATO
Forma e indicazione delle ragioni
Prima di esaminare la nuova disciplina, si ricorda che non è affatto mutata la dichiarazione di principio contenuta nel co. 01 dell’art. 1, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368, secondo il quale «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro.» Ne deriva che senza forma scritta non c’è contratto a termine.
Fermo restando l’obbligo di stipulare il contratto in forma scritta, è invece definitivamente venuto meno l’obbligo di indicare le ragioni che legittimavano l’assunzione a tempo determinato. Le causali tecniche, organizzative, produttive o sostitutive diventano, dunque, solo un ricordo.
Limiti numerici
L’agevolazione consistente nella generalizzazione della «acausalità» (ossia nel venir meno dell’obbligo di indicare le ragioni, sinora posto a carico del datore di lavoro) è controbilanciata dalla previsione di limiti numerici, affidati in primo luogo al contratto collettivo. Infatti, la nuova formulazione dell’art. 1, co. 1, dispone che «fatto salvo quanto disposto dall’art. 10, co. 7, il numero complessivo di contratti a tempo determinato (…)».
Iniziamo, quindi, con l’evidenziare che l’art. 10, co. 7, dispone che l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
Sono in ogni caso esenti da limitazioni quantitative – nel senso che il CCNL non può impedire che il datore di lavoro li stipuli – i contratti a tempo determinato conclusi:
  • nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai CCNL anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici;
  • per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell’elenco allegato al D.P.R. 7.10.1963, n. 1525;
  • per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi;
  • con lavoratori di età superiore a 55 anni.
Invece, laddove il contratto collettivo non ponga alcun limite, il compito di «porre un freno» al numero di contratti a termine, che ogni datore di lavoro può concludere, è stato assunto direttamente da parte dal Legislatore. Infatti, con una riscrittura più chiara e lineare, si prevede ora che il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non possa eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato. I datori di lavoro di minori dimensioni (fino a 5 dipendenti) possono sempre assumere 1 lavoratore a termine, anche qualora non abbiano neppure 1 dipendente.
Per il computo dell’organico dei datori che superano i 5 dipendenti, cioè che hanno almeno 6 lavoratori a tempo indeterminato al 1° gennaio dell’anno di assunzione, va considerato quanto segue:
  • si contano tutti i lavoratori a tempo indeterminato assunti con qualifica di dirigente, funzionario, quadro, impiegato e operaio, esclusi però gli apprendisti;
  • per i lavoratori a tempo indeterminato che sono stati assunti a tempo parziale, il conteggio va effettuato in proporzione all’orario effettivamente svolto rispetto a quello a tempo pieno;
  • 2 lavoratori con contratto di lavoro ripartito a tempo indeterminato si contano come 1 sola unità;
  • i lavoratori a tempo intermittente (e indeterminato) sono computati in relazione all’orario di lavoro effettivamente svolto in ciascun semestre;
  • i lavoratori presenti in azienda in quanto siano stati distaccati da parte di un altro datore di lavoro non contano nell’organico del distaccatario ma solo in quello del distaccante.
Sanzioni amministrative
Strettamente collegata al limite di contratti a termine che sono stipulabili in maniera legittima, è la questione delle sanzioni economiche previste. A tale proposito, il nuovo testo dell’art. 5, co. 4-sexies, dispone che – in caso di violazione del limite percentuale di cui all’art. 1, co. 1, ossia di quello contrattuale o, in sua assenza, di quello legale – per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa pari al:
  • 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se viene assunto 1 solo lavoratore a termine che ecceda il massimo consentito;
  • 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno, ossia se i lavoratori sono da 2 in su.

ESEMPIO – SANZIONI APPLICABILI
Se viene assunto 1 solo lavoratore a termine eccedente per una durata di 3 mesi, il datore di lavoro dovrà versare una sanzione pari al 20% della retribuzione per 3 mesi. Invece, se si tratta di 3 lavoratori «in più», la sanzione sale al 50% della retribuzione erogata, per ogni lavoratore e per ogni mese di sforamento. Si faccia attenzione che il numero dei mesi potrebbe essere differente per ogni lavoratore, dipendendo unicamente dalla durata del contratto a termine che non poteva essere stipulato con ciascuno di essi.

Entrata in vigore
La norma pone un delicato problema relativo al fatto che il contingentamento di legge rappresenta una novità dal 21.3.2014 (seppure con una formulazione differente), ed è stato poi ulteriormente e sostanzialmente modificato con la conversione in legge del D.L. 34/2014.
Le norme interessate sono molte, e in particolare comprendono: gli artt. 1 e 2-bis, D.L. 34/2014, nonché gli artt. 1 e 5, D.Lgs. 368/2001, contemplando differenti riferimenti temporali, aliquote di impiego, termini per «rientrare», nonché sanzioni economiche. In attesa dei necessari chiarimenti ministeriali, si tenta di fare un po’ d’ordine, cercando di distinguere le norme applicabili con calendario alla mano.
A) Contratti a termine già sottoscritti e in corso di svolgimento prima dell’entrata in vigore del D.L. 20.3.2014, n. 34 (ossia fino al 20.3.2014) – Va evidenziato che l’art. 2-bis, D.L. 34/2014, introdotto dalla legge di conversione, dispone che le nuove disposizioni di cui all’art. 2, ossia quelle sui limiti numerici, si applicano ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, e che sono fatti salvi gli effetti già prodotti dalle disposizioni introdotte dal decreto stesso.
Il co. 2-ter dell’art. 1, D.L. 34/2014, anch’esso aggiunto dalla legge di conversione, dispone che «la sanzione di cui all’art. 5, co. 4-septies, D.Lgs. 6.9.2001, n. 368, (…) (ossia quella economica del 20% o del 50%), non si applica per i rapporti di lavoro instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che comportino il superamento del limite percentuale di cui all’art. 1, co. 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, (...)».
In pratica ne deriva che – se il contratto a termine è stato stipulato fino al 20.3.2014 compreso – l’unico vincolo numerico che doveva essere rispettato era quello eventualmente previsto da parte del contratto collettivo, che è possibile prorogarlo solo una volta (ove ciò non sia già stato fatto in precedenza), che i rapporti in corso proseguono fino alla loro naturale scadenza e, infine, che – laddove le nuove assunzioni a termine comportino il superamento dei limiti di legge o (prima ancora) di contratto – esse non potranno essere portate a termine, pena il pagamento delle salate sanzioni amministrative previste.
B) Contratti a termine sottoscritti dopo l’entrata in vigore del D.L. 20.3.2014, n. 34 (ossia a partire dal 21.3.2014) – Anche in questo caso non si può dire che la norma brilli per chiarezza.
Volendo comunque provare a dare delle indicazioni operative, occorre anzitutto che risultino rispettati i vincoli numerici previsti dal contratto collettivo o, in assenza di una specifica clausola in tal senso, quelli di legge (1 contratto per datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti; contratti a termine per non più del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato presenti al 1° gennaio dell’anno di riferimento).
In caso di superamento, al datore per rientrare è concesso un periodo di tempo che scadrà il prossimo 31.12.2014, salvo che un contratto collettivo applicabile nell’azienda – e quindi anche un contratto collettivo di secondo livello – disponga un limite percentuale (per esempio il 30%), o un termine (per esempio il 31.12.2015), più favorevole.
In caso contrario, ossia dall’1.1.2015, il datore di lavoro non potrà stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quando non rientri nel limite percentuale stabilito dal contratto collettivo o dalla legge.
Dovrà essere chiarito se la violazione del divieto di nuove assunzioni a termine sia sanzionata solamente con la sanzione pecuniaria ovvero se i giudici adotteranno la (ben più grave) sanzione della conversione del rapporto in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, dato che questa non è stata esplicitamente esclusa (come invece sarebbe stato utile).
C) Contratti a termine sottoscritti dopo la conversione in legge del D.L. 20.3.2014, n. 34 – In questo caso la situazione è assai più chiara: il datore di lavoro deve anzitutto verificare quanti dipendenti a tempo indeterminato ha già alle proprie dipendenze (con riferimento alla data del 1° gennaio di ogni anno).
Deve poi esaminare il contratto collettivo e, in mancanza di una clausola specifica, deve fare riferimento ai contingenti di legge per capire quanti dipendenti possa eventualmente assumere a tempo determinato.
Se ne assume di più, paga la sanzione amministrativa pecuniaria in base al numero di lavoratori in eccesso e al numero di mesi di durata del rapporto di lavoro.
Durata del contratto
Con riguardo a tale problema, peraltro eminentemente pratico, una sintesi assai semplice è la seguente: la durata massima del contratto a termine (salvi casi eccezionali) è pari a 36 mesi, sia che si tratti di un unico rapporto (comprensivo o meno di proroghe), sia che quel medesimo lavoratore sia stato più volte assunto, con differenti contratti a termine, per lo svolgimento di mansioni equivalenti.
Le novità sono concentrate nell’art. 1, co. 1, D.Lgs. 368/2001, il quale, in buona sostanza, prevede che è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a 36 mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del co. 4 dell’art. 20, D.Lgs. 10.9.2003, n. 276. Le maggiori novità riguardano proprio le proroghe.
Proroghe del contratto a termine
Non più 1 soltanto, non più 8 come stabiliva la stesura originaria del D.L. 34/2014, ma 5. Per meglio comprendere le novità rispetto al passato, ossia a prima del 21.3.2014, vanno messe a confronto le due versioni dell’art. 4, D.Lgs. 368/2001.

Art. 4, D.Lgs. 368/2001 – DISCIPLINA della PROROGA
Testo fino al 20.3.2014
Testo dopo la conversione del D.L. 34/2014
1. Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.
1. Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi le proroghe sono ammesse, fino a un massimo di cinque volte, nell’arco complessivo dei 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi e a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni.
2. L’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro.
2. Comma abrogato dalla legge di conversione

Mentre per tutti i vecchi contratti a termine è prevista una sola proroga, per quelli stipulati a partire dalla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, se la durata iniziale è inferiore a 3 anni, ossia a 36 mesi, le proroghe sono ammesse, fino a un massimo di 5 volte, nell’arco complessivo dei 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi.

DISCIPLINA della PROROGA del CONTRATTO a TERMINE
PRIMA e DOPO la CONVERSIONE del D.L. 34/2014
Fattispecie
Disciplina fino al 20.3.2014
Disciplina dal 21.3.2014
Numero di proroghe dello stesso contratto a termine
1 sola volta
Fino a 5 volte nell’arco complessivo dei 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi che, quindi, possono essere anche 2, 6 o 10
Durata massima del contratto, inclusa la proroga o le proroghe
36 mesi in tutto: il contratto stipulato sin dall’origine con durata pari a 36 mesi non era mai prorogabile
36 mesi in tutto: il contratto stipulato sin dall’origine con durata pari a 36 mesi non è mai prorogabile
Altre condizioni
La proroga doveva essere richiesta da ragioni oggettive e riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto era stato stipulato a tempo determinato. L’onere della prova relativa all’obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale proroga del termine stesso è a carico del datore di lavoro
Le proroghe devono riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. È stato abolito l’onere della prova a carico del datore di lavoro circa le ragioni legittimanti, dato che queste sono venute meno già in fase di conclusione del contratto

Deve trattarsi della stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.

ESEMPI di PROROGHE
Durata iniziale
contratto
Durata proroghe
Note
36 mesi
Nessuna
È già stato utilizzato tutto il tempo concesso
18 mesi
18 mesi
Le parti possono concordare da 1 a 5 proroghe del contratto originario, disponendo di un plafond residuo di 18 mesi in tutto
1 mese
35 mesi
Le parti possono concordare un’unica proroga da 35 mesi ovvero, per esempio, 5 proroghe da 7 mesi ciascuna

Si noti che la norma concede un periodo massimo di 36 mesi – indipendentemente dal numero dei rinnovi – con proroghe per un massimo di 5 volte, nell’arco complessivo dei 36 mesi; il che pone un tetto al numero di proroghe ma non a quello dei contratti a termine che è possibile stipulare nei 36 mesi.
Tanto per fare un esempio, in 36 mesi si possono collocare (al netto dei problemi delle pause intermedie, che possono peraltro essere azzerate con un contratto collettivo, anche aziendale) 13 contratti da 2 mesi ciascuno (durata totale del rapporto pari a 26 mesi), ai quali potrebbero essere aggiunte 5 proroghe da 2 mesi ciascuna, arrivando così al «tetto» dei 36 mesi totali.
Infine, stante la non necessità di indicare le ragioni, è stato abrogato il co. 2 che, invece, vi faceva riferimento.
Diritto di precedenza
Significative anche le novità relative al diritto di precedenza. La prima riguarda un nuovo obbligo che viene posto in capo al datore di lavoro, il quale ora – già nel contratto di assunzione – deve inserire un «richiamo espresso» al diritto di precedenza, a prescindere dal fatto che si tratti o meno di lavoro stagionale.
Invece, con esplicito ed esclusivo riferimento al solo lavoro non stagionale, è stato modificato l’art. 5, co. 4-quater. Prima di illustrare la novità, si ricorda che, ai sensi della norma citata, il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi ha diritto di precedenza, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine.
La novità riguarda i criteri di computo del periodo di anzianità pregressa – almeno 6 mesi – ma solo per le lavoratrici che abbiano fruito del congedo di maternità (di norma 2 mesi prima e 3 mesi dopo il parto), dato che:
  • il congedo di maternità, intervenuto nell’esecuzione di un contratto a termine presso la stessa azienda, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza;
  • alle medesime lavoratrici è, altresì, riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato (e quindi non solo per le nuove assunzioni a tempo indeterminato) effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine.
Attività di ricerca scientifica
Due ulteriori novità sono contenute nell’art. 10, co. 5-bis, norma di nuovo inserimento. La prima attiene al fatto che non deve essere rispettata alcuna percentuale massima di impiego di lavoratori a termine nel caso in cui tali contratti siano stipulati tra istituti pubblici di ricerca, ovvero enti privati di ricerca, e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di:
  • ricerca scientifica o tecnologica,
  • di assistenza tecnica alla stessa,
  • di coordinamento e direzione della stessa.
Come ben si capisce, i limiti numerici non si applicano neppure alle figure «manageriali» che coordinano i ricercatori, i quali hanno invece connotazione più esplicitamente «scientifica».
L’altra novità consiste nel fatto che i contratti di lavoro a tempo determinato i quali abbiano a oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica (manca il riferimento alla ricerca «tecnologica») possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono, senza quindi alcuna limitazione massima a un periodo di 36 mesi.
2. SOMMINISTRAZIONE
a TERMINE
Come per il contratto di lavoro a termine, anche per la somministrazione a tempo determinato scompare la necessità di specificare le causali «di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo». L’unico punto cui fare attenzione è costituito dal rispetto dei limiti quantitativi massimi di utilizzo stabiliti dal contratto collettivo nazionale.
3. APPRENDISTATO
Anche in questo caso è possibile affermare che le novità sono positive per le imprese, e che esse mirano ad agevolare la stipula di questa tipologia di contratti di lavoro.
Piano formativo individuale (PFI)
Fermo restando che è necessaria la forma scritta del contratto e del patto di prova, il nuovo testo dell’art. 2, D.Lgs. 14.9.2011, n. 167, come definitivamente modificato a seguito della conversione in legge del D.L. 34/2014, dispone che il contratto di apprendistato contiene, in forma sintetica, il piano formativo individuale definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali.
Conferme in servizio
Molto più «snella» la nuova regolamentazione delle conferme in servizio: salvo che il CCNL non disponga diversamente, l’onere di stabilizzazione si applica solo ai datori di lavoro che occupano almeno 50 dipendenti. In pratica, questi non possono assumere nuovi apprendisti se non hanno confermato – nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione – almeno il 20% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro che abbiano già concluso il proprio periodo formativo.
Apprendistato per la qualifica
e per il diploma professionale
La conversione in legge conferma che, salvo diversa previsione del contratto collettivo, le ore di formazione sono retribuite (almeno) al 35% della paga ordinaria. Non solo, per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano che abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, i contratti collettivi di lavoro possono prevedere specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali.
Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere
L’art. 4, co. 3, D.Lgs. 167/2011 è quello che ha subito le maggiori modifiche. Infatti, con particolare riguardo all’offerta formativa pubblica, interna o esterna all’azienda, finalizzata alla acquisizione di competenze di base e trasversali, si dispone ora che la Regione provveda a comunicare al datore di lavoro, entro 45 giorni dalla comunicazione dell’avvenuta instaurazione del rapporto di lavoro, le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste, avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che si siano dichiarati disponibili.
Percorsi di orientamento
per gli studenti
L’inserimento in azienda degli studenti con contratti di apprendistato può avvenire anche in deroga al limite di età, tutto ciò con particolare riguardo agli studenti degli istituti professionali.
4. DURC
Cambia a fondo anche il Durc, ovvero il Documento unico di regolarità contributiva, che viene semplificato e «smaterializzato». Infatti, non appena sarà approvato il decreto interministeriale la cui emanazione è prevista a breve, chiunque (ovviamente compresa l’impresa interessata) potrà – direttamente dal proprio personal computer – controllare on line la regolarità contributiva.
5. CONTRATTI di SOLIDARIETÀ

Incentivati i contratti di solidarietà difensivi, ossia quelli con i quali si riduce l’orario di lavoro al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione del personale. Infatti, laddove l’impresa rientri nel campo di applicazione della Cassa integrazione straordinaria, per il 2014 l’assegno Inps copre il 70% della retribuzione che viene persa a seguito della riduzione di orario, e inoltre l’azienda gode di uno sconto contributivo del 35%.

Commenti

Post popolari in questo blog

Obbligazioni di fare, non fare o permettere senza contributi INPS

/ Paola RIVETTI Giovedì, 30 novembre 2017 5-7 minuti Le istruzioni alla Certificazione Unica sembrerebbero deporre invece a favore dell’iscrizione alla Gestione separata dell’Istituto previdenziale Gli obblighi contributivi a carico dei lavoratori autonomi occasionali sono definiti dall’art. 44 comma 2 del DL 269/2003, conv. L. 326/2003. La norma dispone che i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale e gli incaricati alle vendite a domicilio di cui all’art. 19 del DLgs. 114/98 sono iscritti alla Gestione separata INPS qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore a 5.000 euro. Il reddito di 5.000 euro costituisce una fascia di esenzione poiché, in caso di suo superamento, i contributi sono dovuti esclusivamente sulla quota di reddito eccedente. L’obbligo di versamento della contribuzione è posto in capo ai committenti, che devono adempiere nell’anno in cui il lavoratore supera il predetto limite. A tale fine, la circolare INPS del 6 luglio 2004 n.

Liquidatore «prigioniero» della società

Liquidatore «prigioniero» della società Senza indicazioni normative, alcune soluzioni giurisprudenziali rischiano di rendere estremamente difficoltosa l’operatività delle dimissioni dall’incarico / Martedì 29 settembre 2015 Al verificarsi di una causa di scioglimento, gli amministratori (oltre ad accertare la sussistenza dell’evento dissolutivo e a pubblicizzarlo) devono anche, contestualmente, procedere alla convocazione dell’assemblea dei soci. Quest’ultima è chiamata, tra l’altro, a nominare il liquidatore (o i liquidatori), salvo che tale decisione non sia stata già presa in sede di costituzione della società. Con riguardo alla cessazione dell’incarico, invece, il codice si limita a stabilire che i liquidatori possono essere revocati dall’assemblea o, quando sussista una giusta causa, dal Tribunale su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero ( art. 2487  commi 1 e 4 c.c.). Quanto alle ltre cause di cessazione dalla carica, è stato precisato come i

ATI e regimi agevolati: minimi e forfetari

L'accesso all'associazione temporanea di imprese non causa decadenza dal regime agevolato (minimi o forfettari) se l'associazione è di tipo verticale, ossia comporta l'autonoma responsabilità dei singoli associati nell'esecuzione dei lavori che si qualificano, quindi, come divisibili e scorporabili. La ATI, associazione temporanea d'imprese, è un'aggregazione occasionale e appunto temporanea per lo svolgimento di un'opera specifica, che si scioglie o per la mancata realizzazione dell'opera o per la sua compiuta esecuzione. Tipicamente l'ATI nasce per aggiudicarsi un'opera che i soggetti singolarmente non riuscirebbero ad espletare, come per esempio nelle gare di appalto, senza tuttavia costituire una società ad hoc. I singoli mandatari devono conferire mandato alla “capogruppo” per presentare un'offerta unica e tali contratti devono essere registrati mediante scrittura privata autenticata o atto notarile; inoltre, per regolare i rapporti