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Cene di Natale degli studi a deducibilità limitata

Si tratta di spese potenzialmente inerenti alle quali si applicano però i limiti di deducibilità previsti dall’art. 54 del TUIR
Per quanto le difficoltà economiche siano evidenti anche nella nostra professione, la prassi delle cene di studio in prossimità delle feste natalizie è ancora alquanto diffusa.
Nulla quaestio se ogni partecipante paga per sé, anche se è difficile in questo caso parlare di cena di studio; se è lo studio (individuale o associato) che offre per i dipendenti e i collaboratori intervenuti, la problematica risulta più delicata.

In prima battuta, occorre interrogarsi sulla possibilità di far confluire le spese in questione in quelle di rappresentanza, tenendo presente che, secondo l’Agenzia delle Entrate (circ. 34/2009, § 1), la nozione prevista dall’art. 108 del TUIR ai fini del reddito d’impresa rileva anche con riguardo al reddito di lavoro autonomo.
La circolare appena richiamata ha precisato (§ 4) che, nel caso di spese sostenute per feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di festività religiose, è necessario documentare la tipologia di destinatari delle spese.

Secondo l’Agenzia, non sono qualificabili come spese di rappresentanza quelle sostenute per eventi aziendali in cui sono presenti esclusivamente dipendenti dell’impresa, in quanto le spese possono considerarsi sostenute nell’ambito di un’attività promozionale.
Riteniamo che analogo discorso debba essere fatto nel caso in cui agli eventi partecipino dipendenti e fornitori, come, in genere avviene nel caso delle cene dello studio professionale.

Il fatto che si sia fuori dalle spese di rappresentanza non significa che gli oneri in questione siano indeducibili.
Occorre quindi interrogarsi sull’inerenza della spesa in esame.
Al pari del reddito d’impresa, anche nel reddito di lavoro autonomo è ormai ampiamente accettato che il concetto di inerenza debba essere riferito all’attività svolta in generale.
Evenienza che pare verificarsi nelle cene in questione per una serie di motivi.

In primo luogo si tratta di una prassi diffusa che è arrivata ad avere una qualche rilevanza sociale. Nella generalità dei casi, il fatto di partecipare è comunque un elemento di gratificazione che amplifica il senso di appartenenza.
In secondo luogo, la cena è un’occasione d’incontro che consente di migliorare le relazioni interpersonali, l’aggregazione, che contribuisce, in altre parole, a costruire la squadra. Tutti elementi non secondari per chi deve fornire servizi ad elevato valore aggiunto.
Senza, infine, dimenticare che spesso si coglie l’occasione della cena per dare un resoconto sull’andamento generale, sugli obiettivi raggiunti, su quelli da raggiungere, etc.

Con riferimento al reddito d’impresa, l’art. 100 comma 1 del TUIR stabilisce espressamente che le spese relative a servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di ricreazione o culto (entrambe le finalità paiono pertinenti) sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.

Tale principio, secondo quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate (ris. 34/2004), opera anche nell’ipotesi in cui “detti servizi siano messi a disposizione dei dipendenti tramite il ricorso a strutture esterne all’azienda”, ad esempio – aggiungiamo noi – un ristorante.

La circostanza che analoga disposizione non sia stata prevista per il reddito di lavoro autonomo non fa venire meno la deducibilità delle spese in questione, in quanto la ratio dell’art. 100 del TUIR è quella di stabilire una soglia di deducibilità con riferimento a talune spese a rischio evasivo, ma non negarne tout court l’inerenza.

Per queste ragioni, in generale, le spese sostenute dallo studio professionale per organizzare la cena natalizia appaiono inerenti.

A questo punto intervengono le altre regole del TUIR e, in particolare, l’art 54 comma 5 del TUIR, in base al quale le spese relative alla somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75%, nel limite del 2% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
Anche se con riferimento alle mense aziendali l’Agenzia ha adottato un’interpretazione estensiva (circ. 6/2009), nel caso di specie la norma in questione non appare derogabile e quindi dovrà essere applicato il doppio limite.

Per quanto sopra riportato, dovrebbe anche essere detraibile l’IVA, trattandosi di spesa inerente e non di rappresentanza. Anche in questo caso la questione è molto delicata, ma secondo la Corte di Giustizia dell’11 dicembre 2008 (causa C-371/07 Danfoss e AstraZeneca), è possibile beneficiare della detrazione dell’imposta quando il dipendente non può scegliere il luogo e la natura dei pasti e quando il vantaggio personale che i dipendenti traggono risulta accessorio rispetto alle esigenze dell’impresa.

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