Liquidatore «prigioniero» della società
Senza indicazioni normative, alcune soluzioni giurisprudenziali rischiano di rendere estremamente difficoltosa l’operatività delle dimissioni dall’incarico
/ Martedì 29 settembre 2015
Al verificarsi di una causa di scioglimento, gli amministratori (oltre ad accertare la sussistenza dell’evento dissolutivo e a pubblicizzarlo) devono anche, contestualmente, procedere alla convocazione dell’assemblea dei soci. Quest’ultima è chiamata, tra l’altro, a nominare il liquidatore (o i liquidatori), salvo che tale decisione non sia stata già presa in sede di costituzione della società. Con riguardo alla cessazione dell’incarico, invece, il codice si limita a stabilire che i liquidatori possono essere revocati dall’assemblea o, quando sussista una giusta causa, dal Tribunale su istanza dei soci, dei sindaci o del pubblico ministero (art. 2487 commi 1 e 4 c.c.).
Quanto alle ltre cause di cessazione dalla carica, è stato precisato come il ricorso ai principi tradizionali permetterebbe di estendere ai liquidatori la disciplina degli amministratori e, quindi, di ricollegare la fase estintiva dell’ufficio di liquidazione alla morte, alla rinuncia, alla decadenza e alle altre ipotesi previste dallo statuto.
Con riguardo a eventuali dimissioni, occorre, in primo luogo, evidenziare come, secondo una prima ricostruzione, sarebbe applicabile il principio della prorogatio, in virtù del quale la cessazione dell’incarico opererà solo nel momento in cui si sia addivenuti alla sostituzione del liquidatore cessato. In senso contrario appare, invece, orientato il Tribunale di Milano con il provvedimento del 14 gennaio 2011, secondo il quale tale prorogabilità non sarebbe prevista da alcuna specifica disposizione normativa e contrastante principi generali in tema di mandato e incarichi gestori.
Nella disciplina riforma, inoltre, il caso trovava specifiche indicazioni. In base al previgente art. 2450 c.c., anche in caso di dimissioni (e non solo di nomina): sostituzione spettava all’assemblea (salvo diversa indicazione dell’atto costitutivo), che deliberava con le maggioranze prescritte per l’assemblea straordinaria; ove non fosse stata possibile la nomina assembleare, interveniva il Tribunale su istanza di soci, amministratori o sindaci.
Nel silenzio riservato alla materia dalla riforma del diritto societario, sussistono non poche incertezze (oltre quella già accennata sulla prorogatio dell’incarico).
Nella disciplina riforma, inoltre, il caso trovava specifiche indicazioni. In base al previgente art. 2450 c.c., anche in caso di dimissioni (e non solo di nomina): sostituzione spettava all’assemblea (salvo diversa indicazione dell’atto costitutivo), che deliberava con le maggioranze prescritte per l’assemblea straordinaria; ove non fosse stata possibile la nomina assembleare, interveniva il Tribunale su istanza di soci, amministratori o sindaci.
Nel silenzio riservato alla materia dalla riforma del diritto societario, sussistono non poche incertezze (oltre quella già accennata sulla prorogatio dell’incarico).
Sul tema, in particolare, il citato Tribunale di Milano del 14 gennaio 2011 ha affermato che l’art. 2487 comma 2 c.c. si applica estensivamente anche all’ipotesi di sostituzione del liquidatore dimissionario; spetta, quindi, al Tribunale procedere alla sostituzione del liquidatore dimissionario (anche su richiesta dello stesso) solo allorché l’assemblea, convocata per deliberarla, non sia stata in grado di provvedervi. Sia nel caso di nomina che in quello di sostituzione, infatti, ci si trova di fronte a situazioni nelle quali ricorre la medesima inerzia assembleare rispetto alla concreta esigenza di individuare il soggetto incaricato della gestione liquidatoria. Né è possibile ricavare dal sistema normativo vigente una sorta di indeterminata prorogabilità dell’incarico in capo al liquidatore dimissionario; prorogabilità che, come già evidenziato, secondo il giudice milanese sarebbe comunque da escludere.
Lungo questa linea, poi, il Tribunale di Bologna del 24 ottobre 2013 ha precisato che, nel caso in cui, a seguito di nomina assembleare che deliberi contestualmente lo scioglimento della società, il liquidatore unico dovesse rinunciare alla suddetta nomina, è l’organo assembleare a dover provvedere a una nuova nomina. Sembra prospettata, peraltro, l’ammissibilità di una “diretta” richiesta nomina giudiziale, ma a condizione che sia accompagnata dall’allegazione degli elementi da cui desumere l’impossibilità per l’assemblea di provvedere a una nuova nomina.
A tal riguardo, tuttavia, il Tribunale di Brescia del 28 novembre 2014 ha stabilito che è inammissibile ricorso proposto “dal liquidatore giudizialedimissionario che, allegando l’impossibilità dell’assemblea di deliberare in merito, chieda al Tribunale di essere sostituito. La sostituzione del liquidatore giudiziale da parte del Tribunale, infatti, non è prevista da alcuna norma, mentre deve ritenersi che il potere surrogatorio dell’autorità giudiziaria (rispetto all’organo assembleare) possa essere esercitato solo nei casi tassativamente previsti dalla legge.
Quest’ultima decisione non appare condivisibile. Dalla lettura del provvedimento non si può desumere con certezza se tutto debba essere ricondotto a un problema di legittimazione attiva o all’impossibilità per il Tribunale di procedere alla sostituzione del liquidatore. Non è chiaro, cioè, se la richiesta sarebbe stata accolta ove a presentarla fossero stati soci, amministratori o sindaci, adeguatamente allegando l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea (come ammesso da Trib. Milano 14 gennaio 2011) ovvero se anche in tal caso il Tribunale sarebbe addivenuto alla stessa conclusione per l’assenza di un potere giudiziario sostitutivo.
Ove si aderisse all’opzione per la prorogatio del liquidatore dimissionario fino alla sua effettiva sostituzione, questa seconda ipotesi sarebbe del tutto irragionevole, non consentendo, di fatto, allo stesso di abbandonare, per qualsiasi ragione, l’incarico. Ma anche la prima, rimettendo l’onere di attivazione in capo a soli soci, amministratori e sindaci, non eliminerebbe del tutto il rischio di rendere il liquidatore dimissionario “prigioniero” della società.
Ove si aderisse all’opzione per la prorogatio del liquidatore dimissionario fino alla sua effettiva sostituzione, questa seconda ipotesi sarebbe del tutto irragionevole, non consentendo, di fatto, allo stesso di abbandonare, per qualsiasi ragione, l’incarico. Ma anche la prima, rimettendo l’onere di attivazione in capo a soli soci, amministratori e sindaci, non eliminerebbe del tutto il rischio di rendere il liquidatore dimissionario “prigioniero” della società.
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